Orso d’Oro a Berlino: Dreams e la trilogia della relazioni di Dag Johan Haugerud
Il cielo sopra Oslo filtra oltre lo schermo e illumina il buio della sala. Il cielo azzurro macchiato da qualche nuvoletta bianca viene subito accompagnato dalle parole della voce fuoricampo di Johanne, la giovane protagonista diciassettenne. Per chi ha la fortuna di vedere in sala il film vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival Internazionale di Berlino, queste sono le prime semplici immagini di Dreams, ultima opera di Dag Johan Haugerud, regista che finalmente trova spazio e voce anche nelle sale italiane grazie al coraggio di Wanted Cinema che si è impegnata a far uscire anche gli altri due titoli di un progetto più ampio che compone la trilogia delle relazioni, insieme ai precedenti Sex e Love, presentati entrambi durante il 2024 tra i festival di Berlino e Venezia.
Johanne è con la testa fra le nuvole. È una prima “facile” astrazione di un film che ci proietta in alto, scandito visualmente dalle immagini di salite che indagano dislivelli sentimentali, tra “persone normali” e geografie del cuore, come dimostrano le ricorrenti scene di scale immobili e vuote, freddi elementi urbani del quotidiano norvegese dove ribolle la tempesta interiore alla quale le parole di Johanne cercano di dare un significato dopo la prima cotta che, prima o poi, ci capita a tutti nella vita. Parole che sono da subito lo strumento d’elezione con cui indagare i termini emotivi di una forza inafferrabile. A Johanne non rimane altro modo di dare una forma a quello che sta provando per la prima volta in vita sua; è l’unica via possibile per esternare le ragioni del cuore in una storia d’amore che nasce con la sua insegnante di francese, Johann, con la quale inizia a intrattenere una relazione che ben presto travalica i banchi di scuola.
Alla prima scena della lezione di francese, ci troviamo di fronte a una magistrale lezione di regia con cui emerge tutto il talento di un regista capace di cogliere con delicatezza l’intensità corporea di un semplice sguardo che si fa desiderio di anima e corpo. Intorno a questa definizione di desiderio, il terzo e ultimo lavoro della trilogia ha conquistato la giuria di Berlino presieduta da Todd Haynes, consacrando un percorso artistico e autoriale da tempo riconosciuto in patria norvegese, anche in qualità di romanziere, sensibilità quest’ultima per cui proprio Dreams dimostra a tutti gli effetti un forte legame poetico con la letteratura, a rischio di costruire un film che, privilegiando soprattutto le parole, potrebbe impantanarsi nella sua verbosità. Così non è, pur richiedendo al pubblico un piccolo sforzo per lasciarsi catturare dal fascino di un film che ci interroga sul significato con cui decidiamo di narrare, a noi e agli altri, l’intima essenza di un desiderio che è inscindibile dal sogno che scatena la tempesta del primo amore, della cotta a prima vista. Qualcosa in bilico tra l’estasi e il trauma. Haugerud riesce ad accarezzare i nervi scoperti di questa zona di confine con una ammirevole sensibilità di sguardo che anima la tessitura verbosa dell’architettura narrativa. Siamo testimoni di una confessione amorosa che inizia a prendere forma nella testa di Johanne e poi sotto gli occhi di sua nonna, anche lei una scrittrice, e di sua madre, aprendo l’intimità della prima parte a un confronto intergenerazionale che interessa l’ultima parte del film. Le parole di Johanne vengono pensate, parlate, scritte, lette, memorizzate, sognate, ripetute, conversate, omesse e interpretate, con se stessa e con le altre. Sono parole femminili che volano da donne a donne di diverse generazioni, tra Johanne e sua madre e sua nonna Nan, ma anche le sue amiche, e prima di tutte con Johanna, l’insegnante di francese di cui Johanne si infatua a inizio anno con un colpo di fulmine.
Come le fibre dei tessuti che vengono cuciti dall’uncinetto di Johanna, la forma linguistica dei pensieri di Johanne si intreccia con i non detti, negli iati che si proiettano tra i linguaggi corporei, lasciando scorrere oltre le superfici tutto il calore di un’intensità umana che Haugerud orchestra negli intervalli tra il dialogo e l’ascolto, condensando la predominanza degli interni nella geografia emotiva di Johanne, sognatrice della notte metropolitana di Oslo. Non mancano però anche le frizioni oniriche che si allargano agli altri personaggi, in slanci surreali che costringono anche sua madre e sua nonna a recuperare un dialogo tutto al femminile per fare un bilancio delle loro vite sessuali ed esistenziali. Con un cast di attrici formidabili, tra cui spicca la protagonista Ella Øverbye, capace di reggere con grazia tutto il film sulle sue spalle, Haugerud stratifica sempre di più un film in cui le relazioni intergenerazionali tra Johanne, sua madre e sua nonna, lasciano emergere anche conflitti d’interesse su un percorso emotivo che, nel processo di scrittura, si riflette sulle conseguenze dell’arte letteraria e, quindi, di una pubblicazione editoriale che, a detta della madre, avrebbe un successo potenzialmente queer. Tuttavia, sulle parole di Johanne lo sguardo di Haugerud non si appella a banali agende tematiche del contemporaneo, e predilige l’indagine delle complessità umane, forti delle fragilità che si nascondono tra le sfumature invisibili di quella sottile linea con cui sogniamo i nostri desideri.
Dreams si è fatto conoscere timidamente dal pubblico italiano in una stagione dominata dagli Oscar di Hollywood, ma speriamo che continui a essere programmato perché segna il primo (e speriamo non ultimo) incontro poetico con un progetto cinematografico di grande spessore intellettuale, che conferma la fertilità della nuova cinematografia norvegese come portatrice di una nuova poetica dei sentimenti, mai banale e, come nel caso dei film di Haugerud, capace di lasciare il segno cinematografico di un temperatura (inter)generazionale che interroga il nostro presente.




