Atlanta sconfina in Europa
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 4
Fotografia 4
Cast 4
Colonna sonora 4

Appunti su un altro viaggio ai confini della realtà Sono passati quattro anni dalla messa in onda della seconda stagione di Atlanta. Quattro anni nei quali sono successe un po’ di cose ai loro protagonisti, e nella loro vita reale. L’Atlanta che i due cugini Earn e Alfred si apprestavano a lasciare aveva ancora Trump ..

Summary 4.0 favoloso

Atlanta sconfina in Europa

Appunti su un altro viaggio ai confini della realtà

Sono passati quattro anni dalla messa in onda della seconda stagione di Atlanta. Quattro anni nei quali sono successe un po’ di cose ai loro protagonisti, e nella loro vita reale. L’Atlanta che i due cugini Earn e Alfred si apprestavano a lasciare aveva ancora Trump alla presidenza, non c’era ancora la pandemia, George Floyd e il Black Lives Matter del 2020. Difficile non pensare Atlanta con e senza la sua assenza in questi quattro anni, con la sua indagine nei tempi morti dell’America contemporanea e i suoi margini. Un’America, un’Atlanta, un non-luogo surreale oggetto di una dramedy che disseziona la sua immagine nei suoi aspetti più assurdi, inconsci e contraddittori, se non addirittura devianti.

È quindi un ritorno, atteso lungamente: per i suoi personaggi e il suo cast, Donald Glover, Brian Tyree Henry, LaKeith Stanfield e Zazie Beetz, oggi più celebri di quattro anni fa, ancora alla ricerca di se stessi nel continente europeo; ma ancora prima un ritorno all’America, come spazio dell’incubo che apre Three Slaps.
Due uomini, Bianco e Nero, conversano durante una pesca notturna, sotto alla quale si agitano le acque maledette, prima che un bambino afroamericano, che conosciamo come Looquareus, si risvegli sul banco di scuola, provocando prima l’ira dell’insegnante, poi di sua madre e del nonno che lo minacciano di spedirlo in una famiglia bianca. E così sarà, in una spirale dell’assurdo che farà risvegliare il nostro protagonista Earn in Europa. 

Prima tappa: Amsterdam, la capitale dei Paesi Bassi, apre il sipario sui nostri ritrovati protagonisti che si muovono per le strade dello Zwarte Piet, in una proliferazione di blackface che disturbano, straniano e poi salvano Al e Earn, mentre Darius e Van si imbattono in esoterici culti che assistono il suicidio di un noto rapper americano misteriosamente “ancora in vita”. Forse mai come in questa stagione l’arte della divagazione spezza le coordinate logiche della narrazione, intensificando la scissione geografica e culturale dei protagonisti nella loro dislocazione oltre i confini dello Stato-Nazione. L’Europa per Earn, Al e Darius, e soprattutto per la sfuggente Van, diventa uno spazio mentale, di dispersione e allucinazione perversa, dove lo showbiz riserva MacGuffin dietro ogni angolo delle capitali europee. Il fuoricampo, cioè gli Stati Uniti d’America, e non solo la città protagonista delle prime due stagioni, diventa uno spazio per squarciare lo sguardo bianco sull’America nera contemporanea, prendendo di petto tragicomiche derive fantapolitiche in The Big Payback, sui problemi razziali dell’affezione famigliare in Trini 2 De Bone, o satire irresistibili che minano il concetto di negritudine tra gli studenti di Rich Nigga Poor Nigga

È il gioco di Atlanta, quello di spiazzare il pubblico con una narrazione che rifugge l’ordine narrativo, disorienta il disegno d’insieme, trovando la sua forza nel disordine meta-narrativo degli episodi. Gli autori, e principali fidi registi Hiro Murai e Donald Glover (ad eccezione di Ibra Ake con White Fashion), gestiscono questa materia malleabile della stagione, sintonizzandosi sui toni onirici, assurdi e kafkiani che caratterizzano i singoli episodi europei in cui figurano i nostri “eroi”. Un viaggio in uno spazio altro che precede il ritorno, un po’ come l’odissea di Dale Cooper/Dougie Jones fuori dai confini di Twin Peaks. Cruciale ad esempio lo spazio “marginale” riservato a Van, che perdiamo dopo i primi episodi per poi ritrovarla eroina centrale dell’ultimo episodio Tarrare, in cui soffoca il proprio passato di Atlanta, in cerca del suo favoloso mondo di Amelie, tra aristocratiche cene cannibali, gallerie d’arte e periferie parigine.

Dieci episodi spesso indecifrabili e sconnessi tra di loro, dove la carne al fuoco spesso appare troppa, lasciando la sensazione di assistere ad un intermezzo per la quarta stagione, prevista per il 2023. Tuttavia non importa forse più di tanto, e Donald Glover riconferma la sua forza anarchica all’interno della serialità americana odierna. Ancora una volta, dopo una lunga attesa, un irresistibile immersione “ai confini della realtà (“immancabile” anche qui Jordan Peele nei credits). Significativo, forse, il fatto che l’attesa infinita per rivedere Earn, Paper Boi, Darius e Van coincida con il ritorno sulla scena musicale di Kendrick Lamar dopo cinque anni dal suo precedente album DAMN. Tuttavia laddove il King torna a cantare la sua corona, di Paper Boi sentiamo pochissimo le famose strofe, come la sua celebrità, disperse come un mucchio di cenere nel giogo capitalista dello star business.

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