Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 5
Fotografia 5
Cast 5
Colonna sonora 5

A spasso nel tempo. Better Call Saul si conclude dopo sette anni dalla sua prima messa in onda. Iniziò tutto con Uno, primo episodio scritto e diretto da una delle due menti che presiedono l’intera architettura narrativa dell’universo di Breaking Bad, nato con la prima stagione del 2008. Nome: Vince Gilligan. L’altra mente: Peter Gould, ..

Summary 4.8 favoloso

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

A spasso nel tempo. Better Call Saul si conclude dopo sette anni dalla sua prima messa in onda. Iniziò tutto con Uno, primo episodio scritto e diretto da una delle due menti che presiedono l’intera architettura narrativa dell’universo di Breaking Bad, nato con la prima stagione del 2008. Nome: Vince Gilligan. L’altra mente: Peter Gould, penna e regia dell’ultimo episodio Saul Gone.
Con la tenuta complessiva di 14 anni, cinque stagioni per Breaking Bad, il film sequel El Camino dedicato a Jesse Pinkman, e sei stagioni di Better Call Saul uscite nell’arco degli ultimi sette anni, si va a concludere una vera e propria antologia di un’epopea televisiva evolutasi sulla cresta dell’onda di due decenni, che sono anche due modi diversi d’intendere la narrazione seriale; a pochi anni dalla conclusione di serie cruciali come I Sopranos e The Wire, le quali hanno definito maggiormente lo statuto della prestige tv dei primi anni 2000 e delle grandi narrazioni americane fabbricate da reti via cavo come HBO e AMC, fino all’attuale panorama della peak tv in cui predominano le piattaforme streaming e il consumo bingewatching. AMC in particolare modo, a cui fanno capo Gilligan e Gould con le loro creature seriali, è fondamentale per un’altra serie monstre come Mad Men, iniziata un anno prima di Breaking Bad, e conclusasi con la settima stagione nel 2015, a qualche mese dalla prima puntata di Better Call Saul. Altro ritratto di un grande antieroe americano (senza scordare Tony Sopranos, che però non ha mai nascosto la sua identità). Esegesi di una scissione identitaria, di molteplici pulsioni e potabili bugie, tra un passato oscuro che graffia un presente inafferrabile fino al suo “breaking point” morale. È proprio nel Don Draper di Jon Hamm, figura dalla dubbia moralità e dall’indole trasgressiva e cinica verso il contesto sociale (e, soprattutto, americano) in cui maschera il suo agire, che il personaggio di Jimmy McGill/Saul Goodman trova il suo punto di contatto più stretto, ancora più del suo cliente Walter White/Heisenberg. Un grande venditore di bugie, un pubblicitario di verità contraffate, un affabulatore nato che non conosce il limite del proprio potere illusorio ma soprattutto cinematografico (come hanno dimostrato i continui richiami alla sua cinefilia).

Ma torniamo “avanti”. I 13 episodi della sesta e ultima stagione scompaginano un certo modo di intendere la serialità contemporanea, quella che Jason Mittell definisce Complex TV, portando a compimento un grande e articolato “gioco” nel tempo (della storia e del suo racconto) portato avanti in ogni primo episodio delle cinque stagioni precedenti, attraverso la storyline di Gene Takavic in Nebraska. Better Call Saul sperimenta questo movimento narrativo attraverso una progressione per continua sottrazione con il passato del protagonista, e delle sue tre diverse identità temporali e professionali: Jimmy McGill, Saul Goodman, Gene Takavic. Gioco d’identità che in questa sesta stagione raggiunge il suo punto di rottura nell’immaginario. Saul Gone consacra tutta la peculiare attenzione filosofica che gli autori hanno sempre dipinto sui piccoli dettagli del loro mondo, disseminati come sassolini destinati a svelare le crepe nascoste della storia e del cuore di tenebra dei suoi personaggi. Caratura evidente già dal primo episodio Wine and Roses che disattende completamente la routine spettatoriale delle stagioni precedenti. Una copia della La Macchina del tempo di H.G.Wells viene inquadrata già nel primo teaser della stagione: non siamo in Nebraska, ma in una lenta transizione che procede dal bianco e nero al colorato mondo delle vestigia e poi della villa di Saul Goodman ad Albuquerque. Smantellata del suo “glorioso” passato di depalmiana memoria, dalla reggia “gatsbiana” si disperde lungo un marciapiede il tappo di Zafiro Añejo che apparteneva a Kim, e dal quale possiamo intuire l’assenza dalla cassetta dei ricordi di Gene che compare già nella primissima puntata. Successivamente in Soul Gone il concetto di viaggio nel tempo si pone definitivamente come il termometro morale della resa dei conti finale, facendo crollare qualsiasi certezza e denunciando verso la fine, nell’ultimo flashback della serie, la provenienza di quella copia da un momento di sincero e intimo dialogo col fratello Chuck. La Macchina del Tempo è il fucile di Checov che Gould punta definitivamente verso il suo personaggio, ma quale dei tre? Come in un gioco della matassa, i fili si intrecciano tra di loro testimoniando la grande libertà narrativa e compositiva degli autori, capaci di manipolare con fluidità la storia nel labirinto temporale degli episodi e in quello mentale dei suoi personaggi, tratteggiando il respiro da grande romanzo che ha soffiato con grande stile e consapevolezza sulle vicende di Better Call Saul

Vicende che hanno saputo scrollarsi di dosso l’eredità della serie originale, se non proprio elevandola su una scrittura più fine, elegante e matura, concedendosi i suoi dovuti tempi per crescere adagio, penetrando nei suoi luoghi ricorrenti, teatri di psicologie inafferrabili e sfuggenti. Rinvenire influenze europee romanzesche come  Dostoevskij non è azzardato e aiuta a carpirne la complessità psicologica nella quale Gilligan e Gould hanno setacciato la relazione di Jimmy e Kim fino a Fun and Games, la funerea nona puntata che chiude definitivamente il ciclo della coppia di avvocati, e dei loro comprimari Gustavo Fring e Mike Ehrmantraut, fino al doloroso confronto finale tra quest’ultimo e il padre di Nacho Varga. “Delitto e Castigo” risponde al grande tema esistenziale della serie, nella sua indagine sulla colpa e l’espiazione, radiografia di comportamenti umani mai così sfaccettati e misteriosi, irresistibilmente incomprensibili. E potrebbe anche essere il titolo alternativo con cui racchiudere tutte le prime e nove puntate, tutte identificate dalla coppia di due concetti correlati (Plan and Execution, Point and Shoot, Carrot and Stick, ecc). 

Il grande affresco americano prende forma nel capoluogo della contea di Bernalillo al confine col Messico, trasformandola in un non-luogo avulso dalla grande storia contemporanea. Non è un caso che, partendo a raccontare le vicende dalla prima udienza in aula dell’avvocato d’ufficio Jimmy McGill (siamo nel 2002), la storia rimanga ovattata dagli accadimenti noti dell’epoca, uno su tutti l’11 settembre. Per essere una serie ambientata negli anni in cui uscivano proprio serie come I Sopranos e The Wire, dove le rispettive vicende criminali tra il New Jersey e Baltimora dialogavano irreversibilmente con l’umore reale e politico del tempo, Better Call Saul decide anche qui di giocare per sottrazione nel suo dialogo con la Storia. Considerando che nell’arco di quattro stagioni ha accompagnato l’intera presidenza di Donald Trump alla Casa Bianca, il ritratto di un grande bugiardo come Saul Goodman/Gene Takavic nell’era del presidente più bugiardo della recente politica americana rimarrà nell’inconscio simbolico e politico dell’odierna produzione seriale. Tuttavia, sempre per fissare maggiormente cosa sia stato Better Call Saul, basta osservare come la grande padronanza narrativa dei suoi autori si rifletta in un fertile gioco dei generi, dei registri e delle influenze. C’è il grande romanzo ottocentesco nell’ombra che tiene le fila di tutto, ma Gilligan e Gould conoscono bene il cinema tanto quando Jimmy McGill. La scrittura (e una regia competente mai solo al servizio di essa) non dimentica la tradizione della commedia americana classica, da Howard Hawks (di cui viene citato La Signora del Venerdì nella terza stagione) a Billy Wilder, stella polare di una serie che ha fatto sempre tanta ironia sul mascheramento (il colpo finale ai danni del povero Howard Hamlin nel quarto episodio Hit and Run), passando al noir, sempre Wilder ma anche Fritz Lang in questo caso (cifra stilistica e cromatica dell’ultimo ciclo di episodi in Nebraska), per poi ricongiungersi ai toni del cinema più coevo e tragicomico dei Coen. Un sussidiario di riferimenti che non scade mai nella citazione cotta e servita, ma che anima e addomestica lo spirito indiavolato che intercorre tra il procedural drama, la commedia, il thriller, il noir e poliziesco, concedendosi parentesi da hunt movie (tutta la fuga iniziale di Nacho nei primi tre episodi) e incursioni western (la puntata Bagman della quinta stagione che riapre l’ultima puntata), amalgamando il tutto con il fascino della recente tradizione letteraria del Cartello di Don Winslow.

Tante cose che non devono fare perdere di vista l’anima profonda di un grande melodramma dei giorni nostri, poiché il grande dono di Better Call Saul si dipana lungo il sottile filo nascosto che tiene insieme una coppia indimenticabile come Jimmy McGill e Kim Wexler, interpretati magnificamente da Bob Odenkirk e Rhea Seehorn. Fuori da ogni cliché, rifuggendo dinamiche consolidate e prevedibili, il tempo viene messo al servizio di un grande storia d’amore, esplorata fino alle drammatiche conseguenze di una relazione dalla doppia anima, scissa tra la dimensione professionale dei due avvocati e la loro complicità sentimentale (e infine criminale). Kim Wexler sconvolge il quadro normativo e di genere di tutta la serie, regalando all’eredità di questo universo un personaggio femminile senza eguali nella recente produzione televisiva. E la finale resa dei conti in quell’aula di tribunale, gli Stati Uniti v. Saul Goodman (forse l’unico “vero” evento storico che sconvolge l’America di Gilligan & Gould), diventa il canto del cigno di un amore vissuto pericolosamente, dove uno sguardo tra l’imputato, girato di spalle, e la testimone in fondo all’aula, diventa il bilancio sentimentale, morale e legale di una grande avventura, fatta di tante parole e bugie, ma oltre alle quali hanno sempre contato di più i non detti e gli sguardi. La tragedia di un uomo ridicolo (Saul Goodman) e del suo ultimo sguardo, di due grandi antieroi (Jimmy e Kim) e del loro primo e ultimo tiro di sigaretta.

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