Cocoricò Tapes

Cocoricò Tapes

Io l’ho visto…

Se il Cocoricò è la Piramide, Cocoricò Tapes è un prisma. Infatti, il granitico modo di fare arte diffusa promosso da Loris Riccardi, direttore artistico dal ’93, non può che passare per una narrazione documentaristica che, proprio come nel caso del prisma, parte da una base lineare (la cronologia delle stagioni di quel periodo) e si prolunga su vari piani paralleli (la Storia degli anni ’90 tutta, fino alla caduta delle torri gemelle; la street parade di Berlino del ‘96; una notte passata al Cocoricò, dall’inizio alla fine).

E questi piani convivono ed evolvono, pulsano e, insieme, sfumano.

Cocoricò Tapes non pretende di raccontarti la storia di un periodo ben preciso (gli anni ’90) della discoteca Cocoricò; quello che fa è pagare dazio al passato, trasformando le linee dure della piramide più iconica della techno in un flusso.

E questo flusso è formato da tre cose: l’archivio (con le performance e la trasgressione dei tempi), la parabola personale dell’Art Director Loris Riccardi, le parole dei protagonisti.

Non è perciò un documentario agiografico, scelta (forse) necessaria per descrivere la complessità di un luogo, di un momento, di un decennio.

Alla fine, la forma documentario diventa l’unico strumento valido per esprimere una forte esigenza generazionale: quella di dimostrare, soprattutto a chi non c’è stato, l’irripetibile e stupenda sfrontatezza di un periodo storico che, con grande rammarico, non si ripeterà mai più. Di un periodo in cui “alba” non significava mai fine. 

Stefano Bolzoni

Io l’ho scritto…

Cocoricò Tapes (che ho scritto insieme al regista, Francesco Tavella) non è un film biografico, prova a essere il ritratto di una (parte di una) generazione da giovane, è il tentativo di raccontare qualcosa che non può essere raccontato: tanto un periodo storico – gli anni ’90 e la loro disperata vitalità – quanto un luogo che di quel periodo è stato sintesi e simbolo, un tempio che ogni sabato ospitava 5.000 persone per un rito collettivo irrinunciabile.

Ma dal momento che si tratta di un dispositivo in larga parte attivato da materiale d’archivio e dal dialogo tra questo materiale e le interviste, Cocoricò Tapes vuole strutturarsi anche come un’esperienza immersiva in quella che poteva essere una serata al Cocoricò in quegli anni.

Si tratta quindi di diversi possibili punti di ingresso al racconto e alla materia, accessi che abbiamo pensato, in linea con quanto accadeva dentro al Cocoricò, come soglie di ibridazione culturale, storica, sociale e politica, per un iper-luogo in cui si mescolavano musica, teatro, arte perfomartiva, desiderio e libertà.

Perché una serata sotto la Piramide, negli anni ’90, non era una semplice serata in discoteca: all’interno del Cocoricò si agitavano in maniera straordinaria le tensioni, le pulsioni e i cambiamenti di un periodo storico altrettanto straordinario.

Perciò abbiamo scelto un lasso temporale definito e contestualizzato, nonché un frame entro cui agitarci, per sentire l’autenticità di quella generazione, intervistata e colta nel suo liberarsi, e allo stesso modo abbiamo adottato un linguaggio visivo funzionale a fornire percussioni emotive e culturali e a strappare dalla quiete lo spettatore.

Come faceva il Cocoricò.

Matteo Lolletti

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