Festival di Locarno 2013

Festival di Locarno 2013

Arriviamo a Locarno in mattinata, dove ancora stanno terminando gli ultimi preparativi, dopo una nottata passata in viaggio. Costeggiamo il lago che incornicia la piccola città che ospita per la 66esima volta una dei festival più interessanti del panorama cinematografico europeo e mondiale. Ci accreditiamo e riceviamo una serie di gadget, esclusivamente ghepardati, che solo qui, in questo contesto, riescono a perdere quell’aspetto cafone che avrebbero in qualsiasi altro luogo. Cominciamo a consultare il programma e le guide, cerchiamo di capire dove si trovano le sale. Il film di apertura è Indebito di Andrea Segre. Sfogliamo il programma e capiamo che è un documentario musicale. Un brivido di terrore mi corre lungo la schiena: la memoria mi riporta al lido veneziano, alla proiezione di Passione (documentario di John Turturro su Napoli e la sua musica) e ai mille aggettivi che avevo inventato per descriverlo. Fortunatamente l’incubo dura giusto il tempo di entrare in sala. Indebito ci descrive la crisi greca attraverso la musica e le canzoni, ci porta dentro la tradizione ellenica attraverso le sue note, ci descrive una nazione che cerca di superare le difficoltà cantando le sue paure e la sua rabbia, rivendicando un posto che non sia espressione di numeri o debiti. La voce dei protagonisti di questo viaggio musicale è scandita dalle riflessioni, come in un diario di viaggio, di Vinicio Capossela che ci guida attraverso la storia e le strade che la musica greca (il rebetiko, in particolare, che per tematiche e affinità può essere descritto come una sorta di blues ellenico) ha preso e intrapreso negli anni, dalla sua nascita fino ad oggi. A farmi presto dimenticare del film di Turturro contribuiscono in maniera rilevante la fotografia straordinaria (curata da Luca Bigazzi) e l’ottima qualità del sonoro in presa diretta. Il quadro si completa con il breve concerto tenuto da Capossela, con alcuni dei protagonisti del documentario, subito dopo la fine dei titoli di coda. Ci trasferiamo in Piazza Grande dove ha luogo la vera e propria cerimonia di inaugurazione piena di ringraziamenti e strette di mano, davanti ad una vera e propria distesa di sedie gialle e nere su cui migliaia di spettatori aspettano che il grande Christopher Lee salga sul palco a ricevere il suo riconoscimento. Uno scroscio di applausi lo accompagna e accompagna una breve clip che ripercorre tutte le tappe più importanti della sua carriera “secolare” (come dice lui in un perfetto italiano) e il pubblico si infiamma sulle scene tratte da Il signore degli anelli e Star Wars. Ci tiene a precisare, orgoglioso, per i più diffidenti, che lui, “quel combattimento con Yoda, lo ha fatto davvero, seriamente”. Un valanga di applausi e di flash invade la piazza. No, non sono flash, sono i fulmini che ci dicono che forse è ora di rincasare, prima del diluvio.

Locarno, 8 agosto (o novembre?)

I lampi e i tuoni che avevano chiuso la serata di ieri non hanno tradito le loro intenzioni e la giornata che ci aspetta sembra non voler cambiare registro. Le sale sono un ottimo riparo da possibili acquazzoni. Il primo film che scegliamo è The Dirties del giovane statunitense Matt Johnson, presentato nella sezione Cineasti del presente, che sembra un perfetto quadro di quello che è il cinema: una perversione che ti salva e ti condanna, tenendoti in bilico tra due mondi che spesso invadono e evadono dai propri confini mescolando sapientemente realtà e finzione, portando lo spettatore a dover scegliere e tracciare quei confini, in cui un errore può portare a non distinguere più il limite che si è valicato. Tra citazioni dissacranti e humour nero, due ragazzi cercano di girare un film all’interno di una scuola, dove subiscono quotidianamente episodi di bullismo. I due amici cominciano a fantasticare di possibili vendette, confondendo il reale con l’immaginario. Rimanere in sala fino alla fine dei titoli di coda riserva, a volte, delle interessanti sorprese. Usciamo e decidiamo di assistere alla proiezione di Verliebte Feinde, presentato nella sezione Appelation Suisse (una particolare sezione dedicata ai film e ai cineasti svizzeri). Nonostante le due sale si trovino a poche decine di metri l’una dall’altra, non riusciamo a evitare la pioggia che si è abbattuta sul festival. Entriamo in sala completamente bagnati. Un docu-fiction sulle vite di Peter von Roten e della moglie, Iris von Roten, e sulla lora vita di coppia alla ricerca di un’emancipazione personale che superi i confini sessuali, religiosi, sociali e politici. Partecipiamo alla conferenza stampa di Sergio Castellitto, a cui viene assegnato il Pardo alla carriera: soliti ringraziamenti, solite domande sulla sua figura di attore e regista poliedrico che spazia dalla televisione al cinema, da ruoli drammatici e impegnati a ruoli più leggeri, solite domande sulla sua collaborazione con la moglie, Margaret Mazzantini. La pioggia diventa una costante di tutta la giornata, almeno quando siamo fuori dalle sale, perciò decidiamo di correre a vedere Cand se lasa se ara peste Bucaresti metabolism, film rumeno che partecipa al concorso internazionale. In sala, quella dedicata alla stampa, sono in molti a dormire e le ragioni sono innumerevoli: quattro inquadrature, nessun movimento di macchina, sceneggiatura inesistente e personaggi noiosi. La visione è interminabile. Qualcuno forse parlerà di capolavoro. Dopo aver smesso di sbadigliare. Usciamo e ricomincia a piovere. Il prossimo film èLa variabile umana, presentato in anteprima per la stampa nella sezione Piazza Grande, che ospita i film che verranno poi proiettati per la grande platea della piazza, appunto. Bruno Oliviero confeziona un film in cui quella che in qualsiasi altra sceneggiatura sarebbe stata la storia principale diventa secondaria e viceversa. Le dinamiche familiari e umane tra padre (ispettore di polizia) e figlia, già minate dalla morte della madre, vengono messe alla prova da una ragazzata e dagli sviluppi di un’indagine su un omicidio che portano a galla i segreti su un mondo torbido in cui droga e prostituzione si nascondono dietro la facciata pulita della Milano bene. Usciamo dalla sala e in piazza, un migliaio di persone hanno deciso di sfidare la pioggia autunnale, rimanendo seduti sulle loro poltrone per assistere alla visione di Vidaj and I. Noi ci arrendiamo e sotto la pioggia facciamo ritorno in albergo.

Borsino: The Dirties 4 Billy; Verliebte Feinde 2 Billy;  Cand se lasa se ara peste Bucaresti metabolism 1 Billy; La variabile umana 3 e 1/2 Billy

Locarno, 9 agosto

La sveglia suona molto presto. Il programma ci dice che sarà una giornata impegnativa. Viene presentato in concorsoExhibition della regista britannica Joanna Hogg. In sala la temperatura è polare e qualcuno ne approfitta, munito di giubbotto, per riprendere il sonno interrotto poco prima. Una coppia di artisti decide di vendere la casa in cui hanno trascorso gli ultimi vent’anni della loro vita. Questa decisione metterà a nudo il loro rapporto, fatto di timori e fobie, di silenzi e incomprensioni, di spazi vuoti e lontananza. La casa che stanno per abbandonare (un grande appartamento su tre piani con vetrate enormi verso l’esterno e spazi immensi e silenziosi all’interno) sembra essere il riassunto delle loro vite e della loro vita di coppia e lasciarlo significa affrontare un nuovo inizio che sembra spaventare entrambi. Un film su come le apparenze, a volte, nascondono delle verità inaspettate e su come gli spazi che viviamo siano più rappresentativi delle nostre stesse vite. Il film successivo è Le Sens de l’humour della regista e attrice francese Marilyne Canto, presentato nella sezione Cineasti del presente. La scelte di una donna che ha da poco perso il marito sono ancora più delicate da quando ha cominciato una nuova relazione. Le paure e i tormenti ne condizionano le scelte, la volontà di difendere i sentimenti del figlio adolescente condiziona il rapporto che sta nascendo e lo trasforma in un tira e molla di cui lei è l’unica tirare le fila. Gare du Nord, invece, è un film corale ambientato all’interno della principale stazione parigina in cui le vite di alcune persone si sfiorano senza toccarsi, in cui un non-luogo si trasforma per alcuni in un luogo vero e proprio, diventando “il” luogo in cui solo lì accadono le loro vite. Il film è della regista francese Claire Simon e partecipa al concorso internazionale. Il tocco leggero e personale lo rende un film fatto di persone, più che di personaggi, in cui il protagonista e personaggio principale risulta essere la stazione. Anche il coreano U ri Sunhi, del regista Hong Sangsoo, partecipa al concorso internazionale. Anche qui, come per il film rumeno di ieri, i movimenti di macchina sono ridotti all’essenziale e l’uso discutibile e anacronistico dello zoom, per tutta la durata film, finisce per essere fastidioso. I personaggi, però, hanno più spessore e la storia risulta essere, nel complesso, divertente e originale. Nessuno si addormenta. L’ ultimo film che vediamo oggi, per fortuna, è il terribile L’Harmonie, che partecipa al concorso Cineasti del presente. Il regista svizzero Blaise Harrison ci descrive la vita di un piccolo paese di campagna attraverso la sua banda musicale: un’accozzaglia di immagini dei componenti della banda, delle loro prove, dei loro momenti liberi, del fiume che scorre, delle cerimonie istituzionali, di un cacciatore osserva la sua preda nel bosco, di un adolescente che lotta per farsi il nodo alla cravatta. Il gesto eroico è quello di rimanere in sala fino alla fine. Per non rischiare di imbatterci in altre sorprese del genere decidiamo che per oggi può bastare. Ci vuole qualcosa di forte da bere.

Borsino: Exhibition 3 e 1/2 Billy; Le Sense de l’humour 3 Billy; Gare du Nord  3 e 1/2 Billy; U ri Sunhi 2 e 1/2 Billy;L’Harmonie 1/2 Billy

Locarno, 10 agosto

Dalla giornata di ieri abbiamo imparato alcune cose che bisognerebbe sempre tenere in considerazione ogni volta che si va ad un festival del cinema, qualsiasi esso sia: la prima è che vedere cinque film in un giorno, specialmente se chiusi in una sala, può sì sembrare un gesto romantico verso la settima arte, ma ti lascia provato nel corpo e nella mente come un volo intercontinentale di sedici ore; la seconda, e forse più importante, è che scegliere i film in base agli orari di proiezione, per riuscire a coprire più visioni possibile, e senza conoscere bene il film che si andrà a vedere, può essere molto rischioso. Decidiamo di mettere immediatamente in pratica la lezione diminuendo il numero di proiezioni e scegliendo accuratamente i film da vedere. Il primo su cui puntiamo è Short Therm 12 di Destin Cretton, che partecipa al Concorso Internazionale. Il film, ambientato in un centro che ospita ragazzi a rischio, narra la storia di Grace, giovane ragazza che ha seppellito nella memoria i fantasmi del suo passato fino all’arrivo di Jayden, una nuova ospite del centro, che la costringe ad aprirsi e affrontare i suoi problemi. Fuori dalla sala, dedicata alla stampa, i commenti sono quelli altezzosi e spocchiosi che ci si aspetta: “è un film ben confezionato ma nulla di originale”, “affronta una tematica così importante in modo leggero”. A nostro avviso è la cosa più interessante vista finora, almeno tra i film in concorso: è una pellicola leggera e allo stesso tempo profonda, che affronta un tema delicato in maniera interessante e senza superbia, in cui i personaggi e i legami che li uniscono scandiscono i tempi filmici in maniera perfetta riuscendo a dare al tutto una parvenza di reale, lontano dalla drammaticità che ci si può aspettare da un film che scava nei problemi di giovani che, per qualsiasi ragione, sono costretti a vivere la loro infanzia o adolescenza lontani dalla normalità di una famiglia. Proseguiamo il pomeriggio con la visione diLes Grandes Ondes (à l’Ouest), commedia franco-svizzera che narra le vicissitudini di Julie e Calvin, giornalisti elvetici inviati in Portogallo per realizzare un servizio sugli aiuti economici elvetici nel paese durante il periodo della dittatura. Accompagnati da Bob, tecnico della radio svizzera, e dal giovane Pelé, traduttore improvvisato, partono a bordo del mitico combinato Vw per documentare la generosità del loro paese. Ben presto tutto si rivela inesistente. Ma siamo nel 1974 e sulla strada del ritorno i quattro sono travolti da carri armati “educati”, da rivoluzionari “ballerini” e da gruppi di fascisti “imbronciati”, diventando eroi inconsapevoli della Rivoluzione dei garofani. Intrisa di cliché elvetici e non, è finora l’unico film a meritare l’applauso della sala dedicata alla stampa. L’ultimo film di giornata è il tailandese Sai nam tid shoer, del giovane regista Nontawat Numbenchapol, che ci porta nel cuore della foresta tropicale, in cui una piccola comunità che si sostiene attraverso la pesca, vede minacciati i propri equilibri dal proliferare di grandi industrie che scaricano i propri rifiuti tossici nel fiume che attraversa la zona, mettendo a rischio l’intero ecosistema locale e lo stesso futuro della piccole comunità circostanti. I tempi sono dilatati, i silenzi prendono il posto dei normali dialoghi e lo scorrere dell’acqua (costante per tutta la durata della pellicola) si sostituisce alla colonna sonora. Con molta semplicità veniamo catapultati nei luoghi che fanno da cornice alle semplici vite di queste comunità prendendo coscienza di un problema che affligge ogni piccola realtà che riesce a sopravvivere grazie all’equilibrio di ogni sua componente.

Borsino: Short Term 12 4 Billy; Les Grandes Ondes (à l’Ouest) 4 Billy; Sai nam tid shoer 3 Billy

Locarno, 11 agosto

È il nostro ultimo giorno al festival e decidiamo di prendercela con molta calma, visitare un po’ la piccola cittadina che lo ospita, passeggiare sul lungo lago e, solo dopo, vedere qualche film. Vediamo una folla immensa assiepata fuori dalla sala dedicata alle proiezioni per la stampa. Mai in nessuna altra occasione avevamo visto tanti giornalisti in attesa di entrare in sala. Che sia il film più atteso al festival? Entriamo. A fatica riusciamo a trovare posti a sedere. Il film in questione è Die Huter der Tundra, di René Harder, che personalmente presenta il film in sala, dicendo che sono stati necessari sette anni di lavorazione per vedere completata la sua opera. Le aspettative crescono. Dopo venti minuti siamo fuori dalla sala. Il film non è altro che un documentario incentrato sulla vita di un piccolo villaggio sperduto nella tundra russa, che vede minacciata la propria autonomia dalle grandi imprese che cercano giacimenti nella zona. Dopo venti minuti di paesaggi, cani che trainano slitte, paesaggi, neve e paesaggi, arriviamo alla conclusione che la folla trepidante all’esterno della sala era lì per rispondere al richiamo di un film presentato alla Settimana della critica. E alla Settimana della critica nessun giornalista può rinunciare. Nel tardo pomeriggio ci facciamo attrarre da L’Étrange Couleur des Larmes de Ton Corps, della coppia Cattet-Forzani, che partecipa al Concorso Internazionale. La sinossi letta sul programma: una donna scompare. Il marito indaga. Col passare del tempo il suo appartamento diventa un baratro e ogni possibilità di uscirne sembra esclusa. Quasi due ore di videoarte spinta in cui non solo il personaggio principale si perde in un baratro visivo, ma anche lo spettatore. Le musiche, fastidiose e assordanti, completano il quadro. All’uscita il pubblico è stravolto, provato, le facce perplesse e interrogative, nessuno sembra volersi sbilanciare con commenti o critiche. Un po’ tutti tirano un sospiro di sollievo. Finisce qui il nostro soggiorno festivaliero e tiriamo le somme, almeno per quello che siamo riusciti a vedere: il Festival di Locarno è un festival atipico, sotto certi aspetti, perché non fa distinzioni di genere (fiction, documentario, videoarte, docu-fiction) nei confronti dei film che vengono scelti. Qualsiasi genere di film può venire selezionato in qualsiasi categoria, cosa molto più rara negli altri festival. Piazza Grande, con i suoi ottomila posti a sedere, e con i suoi film scelti ad hoc per il pubblico dei non addetti ai lavori, è un esempio straordinario di partecipazione e passione. Il festival, di per sé, è estremamente lontano dai lustrini e dalle paillettes di Venezia o Cannes e qui si respira un’aria più di cinema che di champagne.

Borsino: Die Huter der Tundra 1 e 1/2 Billy; L’Étrange couleur des larmes de ton corps 1 Billy

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