L’incubo estetizzante di Good Time.
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 0
Cast 4
Colonna sonora 4

Due fratelli, Connie e Nick, e una rapina andata male. Il secondo, affetto da autismo, si ritroverà in prigione mentre il primo cercherà in tutti i modi possibili di fare uscire il fratello di prigione cercando i soldi per una cauzione. Questa è la semplice ed esile premessa per Good Time, l’ultimo lavoro dei fratelli Safdie, Joshua ..

Summary 2.8 normale

L’incubo estetizzante di Good Time.

Due fratelli, Connie e Nick, e una rapina andata male. Il secondo, affetto da autismo, si ritroverà in prigione mentre il primo cercherà in tutti i modi possibili di fare uscire il fratello di prigione cercando i soldi per una cauzione.

Questa è la semplice ed esile premessa per Good Time, l’ultimo lavoro dei fratelli Safdie, Joshua e Ben (quest’ultimo interprete del fratello autistico), una rapina come tante che serve per sviluppare l’ascesa nell’incubo più buio e allucinante di Connie (Pattinson) nel tentativo di salvare il fratello Nick.

E’ un’ascesa infernale nei bassifondi più reconditi dell’America contemporanea quella vista dagli occhi di Connie, il criminale umanizzato che spinto dall’amore fraterno finirà per toccare il fondo, tutt’altro che il “momento piacevole” a cui allude il titolo della pellicola.

Noi soffochiamo con Connie, non possiamo sfuggire ad una macchina da presa che lo stringe continuamente in primi piani che lo avvolgono in mezzo a quel tripudio di luci al neon sfocate, bruciate e lisergiche presenti in tutto il film; non esistono totali o figure intere, se non netti stacchi in cielo che seguono il nostro protagonista in mezzo a New York, formica in mezzo ad un formicaio in procinto di implodere, come l’occhio del replicante che guarda la fatiscente Los Angeles del 2019 in Blade Runner (del resto non siamo poi così lontani dal futuro previsto da Scott).
Good Time è un equivoco che sbaraglia le porte della tragicommedia più assurda, è un bacio ad una ragazzina minorenne per distrarla dal compromettente notiziario, è una bottiglia di acidi pronta ad essere utilizzata come arma per incastrare il guardiano di un luna-park, è un volo dal grattacielo, è un viaggio surreale senza redenzione, è il prezzo da pagare ad una società menefreghista dove o sopravvivi o muori.

Dopo l’esperienza formatrice con Cronenberg Robert Pattinson ci regala un’altra grande performance e si dimostra bravo e consapevole di doversi scrollare di dosso l’ormai lontano ricordo del vampiro di Twilight. Il suo Connie sembra trovarsi a metà tra l’Eric di Cosmopolis e il fratello autistico di Guy Pearce in The Rover che, guardacaso, sembra ricordare tanto il nostro Nick, interpretato Ben Safdie. Connie è la controparte (o il controcampo) di Eric, solo che questi in Cosmopolis, durante il suo viaggio lungo la notturna metropoli, assisteva al disfacimento della società dal finestrino della sua asettica limousine mentre Connie, insieme al suo fratello, rappresentano le pedine, i figli dell’America abbandonati a se stessi che appunto popolano quel mondo in preda all’anomalia, al di fuori della limousine delilliana.

Di fondamentale rilevanza la colonna sonora di Daniel Lopatin, pioniere della vaporwave che qui, sotto il nome d’arte di Oneohtrix Point Never, si è guadagnato i favori della giuria di Cannes componendo una soundtrack estetizzante e fantascientifica capace di astrarre ancora di più la già surreale e urbana fotografia del film, rigorosamente in 35 mm.

I due fratelli confezionano un delirio notturno che ripesca sapientemente dall’immaginario anni 80 senza mai cadere in sterili citazionismi (cosa facile di questi tempi in cui il fenomeno del revival anni 80 sta avendo sempre più successo, si pensi a Stranger Things), rileggendo con il giusto distacco la parabola kafkiana del Processo di Welles e del Fuori Orario di Scorsese, ma guardando anche al glorioso cinema di Walter Hill, Landis, Scott e Michael Mann. A volte si ha la sensazione che la forma del film prevalga sul contenuto dando un’idea di manierismo a tratti compiaciuto e con un calo forse nella seconda parte, ma è anche un’affascinante idea di estetica esagerata che astrae la struttura circolare del tessuto filmico.
Una struttura circolare che si conclude lì dove inizia il nostro viaggio con una bellissima scena finale, dove un featuring finale di Iggy Pop suggella quello che può essere forse uno dei film più interessanti usciti quest’anno nel panorama indipendente americano.

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