La pubblicità come strumento di lotta politica: Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 0
Cast 3
Colonna sonora 3

Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film di protesta, di rabbia, di lotta contro i diritti negati. Una protesta che, senza il potere della pubblicità, non avrebbe mai avuto una tale eco in una minuscola cittadina di provincia come Ebbing. Lo strumento per eccellenza al servizio del capitalismo consumistico, la pubblicità, in questo film si erge a ..

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La pubblicità come strumento di lotta politica: Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film di protesta, di rabbia, di lotta contro i diritti negati. Una protesta che, senza il potere della pubblicità, non avrebbe mai avuto una tale eco in una minuscola cittadina di provincia come Ebbing. Lo strumento per eccellenza al servizio del capitalismo consumistico, la pubblicità, in questo film si erge a strumento di lotta contro l’inefficienza dei poteri dello Stato, in questo caso, la polizia. Ed il potere della pubblicità, a sua volta, non avrebbe mai avuto una tale risonanza senza il potere dei media. Poteri ben sfruttati dal’intelligenza della protagonista, la McDormand, che sa benissimo che “più tieni un caso sotto i riflettori, più probabilità hai di risolverlo“.

Tre manifesti… è soprattutto un film di lotta violenta, sia verbale, sia fisica. Il nemico è la polizia troppo impegnata a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero. Il crimine impunito è lo stupro e l’assassinio di Angela, la figlia della protagonista (Frances McDormand). I tre manifesti spiegano da soli la potenza delle parole affisse nei cartelloni pubblicitari, che chiamano per nome il poliziotto che avrebbe dovuto concludere il caso:

“Stuprata mentre stava morendo”, “E ancora nessun arresto”, “Come mai, sceriffo Willoughby?”.

La potenza delle parole si erge a vero protagonista del film: parole su sfondo rosso, pubblicate nei tre manifesti a Ebbing in una strada in cui passano in pochi, ma che la potenza del medium televisivo fa rimbalzare nelle case di molti.

Insieme alla violenza verbale, la violenza fisica utilizzata dalla McDormand a colpi di bottiglie molotov contro la sede della polizia, mostrano la rabbia che spinge una madre a farsi giustizia da sé su un caso di cui, in fondo, anche lei è complice. Ebbene sì, la madre si sente complice a causa delle parole che ha detto a sua figlia l’ultima volta che l’ha vista: “spero che ti stuprino”. Una frase che le rimbomba in testa giorno e notte, devastando la sua vita per sempre segnata da un profondo senso di colpa, ma che trova riscatto nella potenza delle parole che, se da un lato la uccidono poiché le ha dette alla figlia poco prima di morire, dall’altro verranno da lei sfruttate come uno strumento di lotta.

Tre manifesti a Ebbing è anche una storia che fa riflettere sul ruolo dei genitori come educatori, il cui fallimento nell’educazione li rende colpevoli, poiché se il padre avesse dato la macchina alla figlia Angela, lei non sarebbe andata a piedi per le campagne, dove poi è stata stuprata e uccisa. La ribellione della figlia, inoltre, può essere vista come il prodotto di una famiglia dissolta dal divorzio dei genitori. Un divorzio le cui conseguenze si sostanziano nella fragilità di quella donna, la McDormand, che, pur apparendo estremamente forte, in fondo, continua a soffrire per l’abbandono di suo marito, il quale ha preferito andare con una diciottenne bella e stupida, mentre lei, vecchia e mascolina, ma intelligente, riceve “soltanto” le attenzioni di un nano (Peter Dinklage).

Le sensazioni che corrodono l’animo della madre – senso di frustrazione, senso di colpa, desiderio di vendetta e bisogno di avere giustizia – sono tutti elementi che in lei generano violenza. Ma questa violenza, se da un lato riesce a far cambiare i poliziotti, dall’altro non riuscirà a far emergere quella verità tanto agognata. Infatti, il film si conclude con un viaggio verso la vendetta, ma che è anche un viaggio compiuto dalla madre e dal nuovo aiutante (Sam Rockwell), prima acerrimo nemico, alla ricerca dello stupratore assassino, che non è però il carnefice di Angela, ma non importa, perché è pur sempre “un carnefice”. Verrà ucciso? Forse si o forse no. Perché il film si conclude con un viaggio in macchina, verso la vendetta contro chi ha pur sempre compiuto un atto disumano.

Ed ecco che il finale del film fa riflettere sulla frase che, nella storia dell’umanità, ha sempre diviso tutti i popoli: il fine giustifica i mezzi?La Mc Dormand non lo sa. Lei si batte per un ideale di giustizia, ma nella sua lotta non riesce a distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Buca una mano a un dentista, picchia i ragazzi della scuola del figlio, attenta alla vita del poliziotto-nemico che, riuscendosi a salvare, alla fine spenderà la sua vita per il “caso Angela” divenendo il più stretto aiutante della madre nella ricerca dell’assassino-violentatore. Sta di fatto che non c’è una demarcazione netta tra “il bene e il male” giacché è la rabbia a muovere i protagonisti. E a questa lotta rabbiosa finiranno per unirsi tutti i personaggi, a partire dal ragazzo di colore, vittima di razzismo da parte della polizia, passando per il pubblicitario, il quale – nonostante le intimidazioni e la defenestrazione subita dall’agente (Sam Rockwell) – rimarrà dalla parte della madre, alla quale si unirà anche lo sceriffo Willoughby.

Quello che non è Tre Manifesti a Ebbing. Occorre dire che non è un film di protesta femminista nella modalità in cui questa venga intesa oggi, ossia a seguito dell’onda mediatica che fa perno sui femminicidi o sul coraggio delle donne che, tanto negli USA quanto in Italia, hanno iniziato il 2018 denunciando le violenze sessuali, alla stregua di una moda inaugurata dallo scandalo holliwoodiano “Weinstein”. No. Non si deve vedere il film come l’ennesimo caso di femminicidio, perché la sceneggiatura è stato conclusa otto anni fa. Ed è per questo che il regista McDonagh appare come un visionario in quanto ha messo la figura della “donna forte e coraggiosa” al centro del dibattito pubblico, preannunciando i casi di stupri e femminicidi di cui si parlerà, ininterrottamente, in tv negli anni a seguire.

Quel che è. È piuttosto un film di protesta “al femminile”, fatto da una donna pronta a utilizzare qualsiasi mezzo pur di trovare la verità, in nome di sua figlia, stuprata, uccisa e poi caduta nell’oblio. La violenza verbale e fisica, gli strumenti della madre, sono legittimati agli occhi dello spettatore dal fatto stesso che l’omicidio sia rimasto impunito. Ed ecco che la McDormand, che va in giro con una tuta da meccanico, totalmente noncurante del suo aspetto estetico, si serve della sua intelligenza insieme alla sua irriducibile forza, d’animo e fisica. Sono questi gli abiti che cuciono il suo personaggio di madre, al di fuori di ogni schema comune, la cui volgarità segna la fine del bon ton, l’etichetta tradizionalmente affibiata alle figure femminili del cinema.

Quel che è divenuto Tre Manifesti a Ebbing. La potenza dei media, come rare volte, esce fuori dallo schermo e si concretizza nella realtà. Ma questa volta è il film stesso che dà vita a cambiamenti nel reale. Così la fiction si trasforma in realtà nelle strade di Miami e di Londra, dove nei primi giorni di febbraio 2018 si è assistito a due forme di protesta pressoché identiche a quelle adottate della McDormann, con la differenza che i manifesti girano sulle fiancate di tre furgoni, ma le scritte su sfondo rosso e gli slogan (riadattati) sono gli stessi dei tre manifesti a Ebbing! Un fenomeno incredibile e meraviglioso, in quanto segna l’utilizzo della pubblicità come strumento di pressione diretto alle autorità locali, come strumento di lotta contro l’inefficienza dei poteri dello stato, in nome della giustizia e della tutela dei cittadini.

– A Miami gli attivisti del gruppo AVAAZ hanno fatto girare sulla fiancata di tre furgoni i seguenti messaggi: “Massacrati a scuolaE ancora nessun controllo sulle armi?Come mai, Marco Rubio?”

Il senatore Rubio dopo il massacro avvenuto in un liceo il 14 febbraio in cui hanno perso la vita diciassette persone, aveva dichiarato ai media che “un controllo maggiore sulla vendita delle armi non avrebbe evitato la tragedia”. Contro tali dichiarazioni – segno di un’inerzia politica piegata agli interessi delle lobby delle armi – i tre furgoni si sono poi fermati proprio vicino all’ufficio di Rubio per reclamare un maggior controllo sulla vendita di armi, vera piaga sociale deli USA che ogni anno continua a mietere vittime, oltre che nelle strade, anche nelle scuole.

– A Londra è accaduta la stessa cosa: i membri del gruppo Justice 4 Greenfell hanno fatto girare tre manifesti in cui chiedono giustizia per le vittime di Greenfell. “71 morti, E ancora nessun arresto?, Perché?

Chissà se tutti questi “Perché” avranno mai una risposta almeno nella realtà, coronando il sogno della madre di Angela la quale, attraverso i Tre Manifesti a Ebbing, tuttavia, non l’ha mai ricevuta.

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