After Life – Terza stagione
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 4
Fotografia 3
Cast 4
Colonna sonora 3

Credo che After Life sia una delle serie che, in assoluto, mi ha insegnato più parolacce in inglese e modi creativi di comporle.Questa serie è, a tutti gli effetti, figlia di Ricky Gervais e, come lui, è irriverente e sempre sorprendente.Il filo conduttore di tutta la serie è solo uno: le lacrime. Lacrime di tristezza ..

Summary 3.4 bello

After Life – Terza stagione

Credo che After Life sia una delle serie che, in assoluto, mi ha insegnato più parolacce in inglese e modi creativi di comporle.
Questa serie è, a tutti gli effetti, figlia di Ricky Gervais e, come lui, è irriverente e sempre sorprendente.
Il filo conduttore di tutta la serie è solo uno: le lacrime. Lacrime di tristezza continuamente alternate a lacrime di gioia.

La terza stagione, a onor del vero, manca degli elementi di genialità e del ritmo delle due precedenti, ma per i fan della serie ha un valore affettivo importante perché mette un punto alla storia di Tony Johnson (Gervais). Tony è un vedovo con tendenze suicide, che abbiamo accompagnato nella sua discesa nella depressione dopo la morte per cancro di sua moglie Lisa (Kerry Godliman), l’amore della sua vita. Tony lavora per il giornale locale e racconta le storie (sempre strane e ridicole) degli abitanti della cittadina immaginaria di Tambury.

Inizialmente, la sua strategia per superare il dolore è prendersela con tutto e tutti e vede come un superpotere la possibilità di essere stronzo con il resto del mondo e poi togliersi la vita quando sarà stanco. Cerca tutto il conforto che può nei video che gli ha lasciato Lisa prima di morire per aiutarlo a vivere senza di lei.

Le tre stagioni di After Life ci mostrano tutte le fasi del lutto e dell’elaborazione del dolore e ci accompagnano nella presa di coscienza finale di Tony che la vita merita comunque di essere vissuta e che la tragedia e il dolore, come tutti i fenomeni umani, sono esperienze condivise.

Quello che ho apprezzato molto di After Life, però, è che questo percorso non è assolutamente lineare, fatto da stadi chiaramente identificabili. Non si esce dalla depressione di punto in bianco e non si decide una volta per tutte che la vita merita di essere vissuta. La scelta di continuare a vivere, di andare avanti, è una scelta continua, che va fatta ogni giorno e che non si ha ogni giorno la forza di fare.

Le prime due stagioni hanno visto Tony fare un percorso per arrivare a vivere meglio con sé stesso e il mondo circostante, ma la terza stagione ci dimostra che questo percorso non ha una fine. Ci sono continuamente delle ricadute, dei ripensamenti, dei momenti di tristezza che è difficile superare e il suicidio continua ad essere un’opzione, molto più remota e meno praticabile, ma comunque un’opzione. Questa genuinità di Tony è la parte del personaggio che apprezzo di più (oltre al suo cinismo e al suo sarcasmo).

La terza stagione, comunque, non è un epilogo di per sé, ma è, più che altro, la rivisitazione dei temi trattati nel corso della serie, con un approfondimento particolare sull’empatia come strumento per trovare il coraggio di vivere. Con le parole di Anne (Penelope Wilton), uno dei miei personaggi preferiti della serie: «Good people do things for other people. That’s it. The end».

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