Il Paese delle Persone Integre

Il Paese delle Persone Integre

Immagina di essere appena tornatə a casa dopo diversi mesi in un paese straniero. Da che punto inizieresti a raccontare la tua “avventura”? Probabilmente, all’inizio, diresti qualcosa del tipo: «no, tutto bene, veramente bello, mi sono trovatə veramente bene». Poi, però, non soddisfacendo la curiosità dellə amichə saresti costrettə ad andare più nel profondo. A questo punto ti si aprirebbero almeno due strade. La prima: prenderla larga e partire da cose divertenti, curiosità, stranezze e particolarità di una terra che hai imparato a conoscere. La seconda: far vedere qualche video della tua esperienza, premere stop e dire: «questo sono io e questo è il momento in cui ho capito che questa storia sarebbe diventata un film. A spararci contro è l’esercito. Ma torniamo un attimo indietro». A questo punto non solo avresti la loro curiosità, avresti un pubblico muto e attento. Di più, avresti il pubblico muto e attento della 79ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (e della Sala Web)1.

È, in un certo senso, quello che fa Christian Carmosino Mereu, il regista de Il Paese delle Persone Integre: prende la narrazione di eventi tragici e importanti, per lui e per il Burkina Faso, per farne una cronaca, un vero e proprio “diario di montaggio” con note e commenti che aiutano il pubblico a discernere la miriade di informazioni che gli vengono fornite. 

Io, per capire meglio la situazione del Paese delle Persone Integre mi sono fatto aiutare da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, che ha patrocinato il documentario. 

“I film e i documentari e il pubblico che li va a vedere sono un volano potentissimo per la diffusione delle nostre campagne”, mi dice all’inizio della nostra chiacchierata. Sì, perché Amnesty International Italia ha un progetto che si chiama Arte e Diritti Umani che patrocina opere che si occupino di diritti umani.

Il documentario come rito collettivo

Per anni si è discusso, e si continua a farlo, di montaggio invisibile e discontinuo, ma qui, con questo documentario, non siamo, per citare un celebre film, sullo stesso «campo da gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport». Qui abbiamo un montaggio che si fa e si vuole far sentire (la barra spaziatrice premuta per fermare la clip, il rumore del clic del mouse, il voice over sempre presente e che dialoga con il pubblico) perché quell’esperienza vissuta dal regista deve essere “espiata” da chiunque guardi il documentario come se si trattasse di un rito collettivo.

Il Paese delle Persone Integre parla della rivoluzione del 2014 in Burkina Faso che riesce a destituire il dittatore  Blaise Compaoré. Una lunga rivoluzione che avrebbe dovuto portare a libere elezioni, ma che ha deluso le aspettative . Una storia che inizia con un forte bianco e nero, ma che poi riacquista colore, forza ed energia. Oltre al regista, parte di questa storia sono quattro persone che rappresentano la popolazione Burkinabé: Sam’sk Le Jah, musicista, cantante e attivista, Constant, futuro consigliere comunale della capitale Ouagadougou, Assana, ragazza disoccupata che studia Farmacia e cerca di mantenere il figlio come può, e Ghost, minatore e attivista.

Tutte persone veramente carismatiche, che hanno un riferimento comune. «Il Burkina Faso ha un lascito che ancora oggi è importante che è quello di Thomas Sankara, e si richiamano alla sua esperienza», dice Riccardo. 

E di rito collettivo si può parlare anche nel caso del concerto di Smokey negli spazi in rovina di quella che fino a qualche giorno prima era la sede del Parlamento. Un concerto che, appunto, aiuta il popolo a riconoscersi e immedesimarsi come comunità in strofe e rime. 

Uno sguardo intimo

Quello che riesce a fare Christian Carmosino Mereu non è semplice, il suo sguardo intimo lo mette in una posizione privilegiata, ci si dimentica spesso, durante la visione del documentario, che lo sguardo del regista è necessariamente esterno. Perché lo sappiamo tuttə ormai: la ricerca dell’oggettività non esiste, anche lo sguardo più “neutro” è mediato. Così come è mediata necessariamente la narrazione e questo non inficia assolutamente il risultato spettacolare del film. 

I manifestanti e le persone nei cortei non aspettano un’intervista, prendono parola, punto e basta. Si rivolgono direttamente al futuro spettatore, hanno bisogno di esprimere le loro idee e i loro motti, uno su tutti: «Patria o Morte, vinceremo». Anche in questo sta la forza del documentario di Carmosino Mereu: lasciar parlare gli altri e le altre, disintermediare, farsi veicolo senza far pesare la propria presenza. 

Il Paese delle Persone Integre è un film politico (nel senso che fa politica perché apre uno squarcio in una dimensione), che non si ferma all’apice dell’entusiasmo generale della rivoluzione vinta. Va oltre. Entra (fisicamente) in luoghi inaccessibili e, facendo ciò, mette lo spettatore in una posizione scomoda: il pubblico non può non guardare, non può chiudere gli occhi, non può far finta di non aver visto. Il Paese delle Persone Integre è un film attivista e non poteva non essere patrocinato da Amnesty International.

Nel documentario, come si è detto prima, l’attenzione verso i diritti umani è molto presente, si fa sentire. Una parte su tutte, ad esempio, è quella in cui Christian Carmosino Mereu riesce a entrare in una miniera illegale: mezzi di lavoro di fortuna, condizioni igieniche scarse, sfruttamento minorile e lavorativo ai massimi livelli. 

Riccardo mi dice anche che «Amnesty (in Burkina Faso n.d.r.) è stata protagonista di una campagna di successo che è quella contro i matrimoni forzati e precoci, il fenomeno delle cosiddette spose bambine. Il Burkina Faso si è dotato di leggi che impediscono i matrimoni forzati e precoci», che sono un fenomeno in netta diminuzione.

In conclusione, Il Paese delle Persone Integre è un documentario che permette al pubblico di sentirsi parte di una rivoluzione, di prendere posizione, di parteggiare, di fare attivismo rivelandosi quel potente volano di cui ci ha parlato Riccardo Noury. 

1 Non è questa la sede deputata per parlare della crociata che parte della redazione di BILLY ha intrapreso a favore della fruizione online delle opere cinematografiche.

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