The Midnight Club
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 4
Cast 3
Colonna sonora 3

Quante volte abbiamo pensato: “perché è capitato proprio a me?”, “se avessi agito in un altro modo le cose sarebbero andate diversamente?”, “Che faccio adesso?”. Ognuno di questi pensieri racchiude un senso di non accettazione di un qualcosa che ci è successo, un qualcosa che non pensavamo potesse accadere sulla nostra pelle, un qualcosa di ..

Summary 3.4 bello

The Midnight Club

Quante volte abbiamo pensato: “perché è capitato proprio a me?”, “se avessi agito in un altro modo le cose sarebbero andate diversamente?”, “Che faccio adesso?”. Ognuno di questi pensieri racchiude un senso di non accettazione di un qualcosa che ci è successo, un qualcosa che non pensavamo potesse accadere sulla nostra pelle, un qualcosa di imprevisto che ci spiazza e a cui possiamo reagire in modi differenti.

Ed è quel qualcosa di imprevisto ad accomunare i sette adolescenti protagonisti di The Midnight Club (la serie televisiva Netflix creata da Mike Flanagan, la quarta realizzata dal regista per la piattaforma statunitense, e Leah Fong, basata sull’omonimo romanzo di Christopher Pike), i quali sono tutti malati in fase terminale e attendono la loro sorte all’interno di una clinica chiamata Brightcliffe dove vengono sottoposti a cure mediche e a sedute di gruppo per conoscersi meglio.

In verità però ciò che gli permette di legare tra loro è l’appartenenza al “Midnight Club”, a cui aderiscono da anni tutti i ragazzi della clinica tramandandone la tradizione, che consiste nel trovarsi ogni sera a mezzanotte nella biblioteca della struttura dove a turno ci si racconta delle storie spaventose, con la promessa che il primo che tra di loro morirà dovrà mandare un segnale agli altri direttamente dall'”altra parte”. Ed è attraverso queste storie, al di là dell’elemento orrorifico, che i ragazzi raccontano di loro, di ciò che erano, di ciò che hanno fatto, dei loro sogni e aspirazioni e di come sono finiti lì, aprendo così finestre su più mondi: uno passato, uno presente e uno futuro.

Ed è la rabbia, la frustrazione, la non rassegnazione al proprio destino date dall’impossibilità a realizzare il proprio futuro, a spingere Ilonka (Iman Benson), la principale protagonista della serie, a cercare un modo per ribaltare le cose, animata dalla scoperta che una ragazza, Julia Jayne, ospite molti anni prima della clinica, sia riuscita a guarire.

Le ricerche su Julia portano così Ilonka a un antico rito risalente alla cultura greca che diviene per lei l’unico strumento, l’unica possibilità per far guarire almeno uno di loro. Ilonka dunque trova speranza in un qualcosa che va oltre la razionalità, la medicina e la scienza in generale entrando dunque in un’altra dimensione, sì sacrale, ma lontana dalla religioni odierne, un mondo ormai sepolto, dimenticato e arcaico che può però rivedere la luce e cambiare un destino scritto.

Un ricorso al soprannaturale che non è certo nuovo nella carriera cinematografica e televisiva di Flanagan, il quale, salvo rare eccezioni, si è sempre cimentato con esso, dandogli a volte un contorno all’apparenza benevolo, ma che in verità nasconde sempre dietro di sé un qualcosa di maligno [ci limitiamo a citare solo la sua serie precedente Midnight Mass (2021) in cui bere il sangue di un vampiro permette sì di guarire dalle malattie (tematica dunque che ritorna) e ringiovanire, ma scoprendo poi quello che comporta la vampirizzazione].

Il soprannaturale però non si ferma solo al rito che Ilonka vuole compiere, ma coinvolge l’intera clinica di Brightcliffe che da una parte è infestata da delle presenze [come lo sono le case delle serie Hauntig of Hill House (2018) e Haunting of Bly Manor (2020)], che sembrano mirare a Ilonka e alla sua compagna di stanza Anya (Ruth Codd), e dall’altra nasconde dei segreti al suo interno. Mike Flanagan si conferma uno dei registi del genere horror più importanti dell’ultimo decennio e in questo suo ultimo lavoro ritorna dunque a espedienti già utilizzati nella sua carriera integrandoli questa volta con l’elemento più antico, ma allo stesso tempo più puro di evasione dal mondo in cui viviamo e cioè il raccontare storie riunendo dei ragazzi come in un novello Decameron dove però questa volta non scappano dalla peste perché “la peste” è già dentro di loro e l’unico modo per combatterla ed esorcizzarla è raccontare loro stessi, aiutarsi e anche scontrarsi il tutto però cercando di evitare l’isolamento e il rinchiudersi dentro se stessi, perché quelle storie e di conseguenza quella pluralità di mondi siano condivisi tra loro, ma anche tra chi li sta guardando e ascoltando.

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