Yellowstone, la serie senza futuro

Yellowstone, la serie senza futuro

Yellowstone è una serie molto semplice e molto complessa, al cui interno si agitano fantasmi e conflitti interiori, scontri e guerre istituzionali, lacerti del passato e pulsioni di prospettive irreversibili.

Ci sono generazioni che non si comprendono, padri che ripudiano figli, figlie che sacrificano fratelli, cowboy che giurano fedeltà eterne marchiate a fuoco, etnie inconciliabili se non attraverso tentativi d’amore personali e dolorosi, uffici che saltano in aria con la gente dentro, gente morta lasciata di notte al confine dello Stato, gente morta nel sonno appoggiata a un albero sotto un cielo stellato e seppellita nei ranch mentre la festa della marchiatura prosegue, visioni di nativi americani, lupi che sconfinano, mitragliatori, elezioni, amori promessi, madri che non possono avere figli e decine di altri elementi, tutti molto semplici e tutti molto complessi, tutti confusi e chiarissimi, tutti a costruire un coro limpido come i fiumi che attraversano il Montana: il futuro non esiste, il futuro è un errore, il futuro non è pensabile, il futuro è un rifiuto.

In questa convinzione, che diviene una battaglia esasperata — interna ed esterna, famigliare e politica, personale e universale — si sintetizza al meglio quel disastro del presente che Yellowstone non ha timore di abitare.

Non si tratta tanto o solo di visioni conservatrici o dell’incapacità di comprendere di un mondo che cambia e che chiede al Montana di cambiare con lui, attraverso aeroporti o concessioni a un progresso che è tratteggiato come un interessato tentativo di liquidare il passato, da parte di quegli “stranieri” che provengono da Los Angeles o da New York, che si sentono vincenti e che non sanno invece di essere perduti.

No, non si tratta tanto o solo di questo. È invece più la consapevolezza che il futuro è un’ipotesi priva di senso, confusa perché disordinata nel suo apparire e proporsi come desiderio irrazionale e notturno, irricevibile non solo perché non rappresentabile né pensabile, inadatta ai monti e ai loro colori, ma soprattutto perché percepita e trasmessa, quasi fosse più un contagio che una malattia, come unica possibile via di salvezza, senza comprendere da cosa, questa ipotesi di futuro, ci proponga di essere salvati.

Perché, in Yellowstone, il presente è morente come un vecchio cow boy che sogna la morte, perché nulla sembra poter sopravvivere, neanche i ricordi, e allora, con brutalità, non può che restare, come elemento di sangue e identità, il dolore e la rabbia di una possibilità necrofila, il futuro appunto, ossia quell’ipotesi feroce che riesce a profilare solo e unicamente l’edificazione di una morte clamorosa, senza che nulla possa essere anche solo davvero intuibile, né al crepuscolo né dentro il perimetro sacro e rituale dei sensi sconvolti dal peyote.

Non c’è che il passato, in Yellowstone, quindi, che torna e presenzia come colpa, come dolore, desiderio, fantasma, come verità e come gioia, ombra e pulsione, il passato che torna e si avvera e afferma se stesso come senso, come unico senso possibile, unico senso praticabile, unica mancanza di dubbio, unica certezza che informa l’esistente, un esistente che non si può neanche definire presente, tale è l’incistamento in esso del passato. Non sono solo i flashback, gli occhiali da sole, le dita spezzate in nome di codici d’onore indiscutibili, non è neanche la pelle bruciata da un ferro rovente o i lupi che non ballano di fronte alla casa, i cappelli a tese larghe o gli speroni: è qualcosa di più, è qualcosa di nostro, è una concessione ai nostri desideri più paurosi, alla nostra volontà più furiosa e devastante: la vita.

Perché Yellowstone è la storia di una dinastia che non vuole morire, è il rifiuto della morte, è il desiderio di essere eterni e la consapevolezza distruttiva che la condizione necessaria per esserlo è che tutto debba rimanere com’è sempre stato, anche se il sempre è un luogo di dolore oppure non è mai esistito, se non, a tratti, nel quotidiano dei ricordi. È la storia di una dinastia che sa che il futuro, se e quando arriverà, frantumerà tutto quello che si è stati, perché non è un futuro che possa presupporci, perché è un futuro che viene rifiutato non in quanto negativo o non armonico, ma perché invisibile, impresentabile, inconcepibile.

Ecco allora che la famiglia Dutton — e chi le ha giurato fedeltà come si giura fedeltà per non essere dimenticati — decide e lotta furiosamente per congelare il presente e per riempirlo di passato, anche se questo significa, comunque e in ogni caso, la morte, e forse una morte ancora più dolorosa che lasciarsi spazzare via dal tempo.  

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