Questo mondo non mi renderà cattivo: una lotta tra gli ultimi
Roma, 2023. L’arrivo di dieci migranti nella periferia cittadina ha causato scontri violenti tra persone che premono per far spostare altrove il centro di accoglienza in cui sono stati inseriti – persone che per comodità chiameremo nazisti – e chi invece sostiene che includere queste persone nella comunità non sia un problema, anzi, che debba essere riservata loro un’accoglienza dignitosa dopo la difficile esperienza vissuta per arrivare a destinazione in Italia. Potrebbe essere il lancio di qualsiasi giornale o telegiornale (che probabilmente, però, non parlerebbe di nazisti), ma è invece la trama estremamente semplificata di Questo mondo non mi renderà cattivo, la nuova serie disegnata da quel genio di Zerocalcare e diffusa da Netflix a partire dal 9 giugno. Una trama che somiglia in modo quasi inquietante alla nostra realtà.
La storia di Questo mondo non mi renderà cattivo è la nostra storia
Da quando la piattaforma di streaming ha rilasciato il primo annuncio ufficiale sull’arrivo di un nuovo prodotto del fumettista romano sui nostri schermi sono tante le domande che i futuri spettatori hanno cominciato a porsi. Cosa ci racconterà? Riuscirà a rispettare gli elevati standard che lo stesso Zerocalcare ha – forse involontariamente – creato su di sé con Strappare lungo i bordi? E soprattutto, la nuova serie sarà un sequel o ci racconterà una storia completamente nuova? Lungi dall’essere la copia conforme della serie che l’ha preceduta (e chi dice il contrario dovrebbe affinare il suo spirito critico o aprire maggiormente gli occhi e la mente in fase di visione), Questo mondo non mi renderà cattivo ci porta nuovamente nel mondo di Zero, Sarah e Secco, raccontandoci però una storia che niente ha a che vedere con la precedente ed evitando totalmente qualsiasi riferimento alla vicenda di Alice che era stata il suo fulcro. Quello che però le due serie hanno sicuramente in comune, oltre ai personaggi principali e a quell’armadillo che condensa in un animale parlante tutti i vizi di una coscienza collettiva imputridita, è la capacità di parlarci di noi stessi e della realtà che viviamo con crudezza e una contemporanea spiccata ironia.
Sono principalmente due le trame portate avanti nella serie, due rette che a un certo punto si incrociano e che altro non sono che due facce della stessa medaglia, quella di una società, di una politica, di un mondo che ci mette perennemente gli uni contro gli altri. Abbiamo in primis, come già anticipato, la storia degli scontri: non si tratta soltanto di due fazioni politiche contrapposte che si sfidano in piazza per portare avanti le proprie rispettive ragioni. Qui si tratta di inclusione, di una classe politica poco rappresentativa degli interessi dei cittadini e molto dei propri, delle difficoltà che si vivono quando le persone si sentono abbandonate da quello Stato che dovrebbe sostenerle e che invece non c’è, e della spettacolarizzazione di tutto fuorché delle cose che davvero bisognerebbe mostrare. E poi c’è la storia di Cesare, un vecchio amico di Zero tornato in quartiere dopo anni – praticamente una vita – passati in una comunità di recupero. La storia di Cesare è quella di tante persone, giovani e meno giovani, che sono e/o si sentono abbandonate, incomprese, lasciate indietro da una società che sembra non accettarle e spesso rigettarle. È la storia di chi non si sente apprezzato, voluto, amato, di chi pensa di non poter essere se stesso con nessuno e di chi, non sapendo come affrontare queste sensazioni, non sapendo con chi prendersela, identifica il nemico sbagliato. Diventando “cattivo”.
Queste due trame hanno un filo conduttore comune, quel senso di abbandono talmente diffuso da sembrare quasi imprescindibile.
Viviamo in un mondo iperconnesso e iperattivo con il costante bisogno di fare sempre qualcosa, di avanzare di casella in casella in quel gioco dell’oca che rappresenta le nostre esistenze e nel quale ci sembra sempre di arrivare ultimi. Mentre i nostri amici vanno avanti, gli altri si realizzano, il mondo si evolve, noi ci sentiamo fermi al primo step, lasciati indietro, soli. E allora è facile cedere a quel pensiero quasi istintivo che ci porta a metterci alla ricerca del responsabile, qualcuno che però il più delle volte si rivela solo un capro espiatorio. Se il lavoro scarseggia è perché gli immigrati – preferibilmente con una carnagione di almeno un paio di tonalità più scure della media nazionale – ce lo hanno rubato, se la società va a rotoli è perché la comunità LGBTQIA+ diffonde il gender ai nostri bambini, e così via. Le persone si distaccano dallo Stato ma anche gli uni dagli altri, dando vita a un contesto in cui siamo sempre un po’ più distanti. E intanto chi avrebbe davvero la possibilità di cambiare le cose, di attuare politiche in grado di risolvere i problemi che nella società ci sono e sono tangibili o di dare assistenza a chi per innumerevoli ragioni può averne bisogno, si volta dall’altra parte e lascia che siano i più deboli a scontrarsi tra loro, attenti al fatto che i detriti di questi scontri non sporchino le loro camicie appena ritirate in tintoria.
In un mondo che ha l’inquietante capacità di incattivirci costantemente, di metterci gli uni contro gli altri in una lotta tra vittime che avviene mentre il nostro burattinaio è al sicuro nella sua teca di vetro protettiva e si gode lo spettacolo, Zerocalcare si pone come lo specchio di tutti coloro che tentano la difficile impresa di guardare le cose da una diversa prospettiva. Questo mondo non mi renderà cattivo diventa allora, più che un titolo, un mantra che guida Zero nelle sue scelte, che lo porta a farsi domande, a mettersi in discussione e a chiedersi cosa lui stesso possa fare per vedere – e aiutare gli altri a vedere – le cose in modo diverso. Rischiando anche un bel po’ di botte, se serve. Con la consapevolezza che lasciar affondare chi è già solo e non riesce a nuotare non è mai la soluzione.