Midge Maisel & Joan Rivers

Midge Maisel & Joan Rivers

Io forse sono uno stronzo senza sentimenti, ma tutto questo dolore per la fine de La Fantastica Signora Maisel non lo provo. Non è la prima volta che scrivo su questa serie che sembra aver ammaliato interi mondi e voglio dirlo subito, e con chiarezza: mi è piaciuta, La Fantastica Signora Maisel, me la sono goduta, mi ha fatto ridere e piangere, ma — mi dispiace — lo ha fatto semplicemente per quello che è, una commedia brillante e coinvolgente che sposa stereotipi narrativi compiaciuti e fondamentalmente innocui — quelli da salotto, per capirci, frequentati da buoni borghesi che si indignano con una dignitosa frequenza, sorseggiando cocktail a chilometro zero.

La Fantastica Signora Maisel non è né un esempio di serie coraggiosa e innovativa, né quel manifesto femminista che in diversi si affannano a descrivere, è rassicurante e sostanzialmente patriarcale, e si esalta nel suo essere un peana capitalista in cui il valore — culturale, personale, artistico — si invera e si testimonia unicamente nel senso del profitto e del successo.

Sono cose su cui non tornerò, sia perché ripetersi è da vecchi — e, anche se vecchio lo sono, magari resisto un altro po’ — sia perché, in questo mese di BILLY dedicato alle icone, è Joan Rivers la persona che ci interessa e, contestualmente, l’opera di sostanziale de-potenziamento che Amy Sherman-Palladino opera sulla sua figura per regalarci la resistibile e inoffensiva Midge Maisel, che, è bene ricordarlo, su Joan Rivers, leggendaria pioniera della stand-up comedy, è malamente ritagliata.

La farò breve: Joan Rivers non era consolante, pietosa o generalista. Lei faceva incazzare davvero con le sue battute, non risparmiava niente e nessuno, era sicuramente irritante ed era pronta ad assumersi la responsabilità di ciò che diceva, sapendo che era una comica, non una stronza. Joan Rivers ha avuto una parabola molto simile a quella della Signora Maisel, compreso l’esordio al Gaslight (negli stessi anni in cui si esibiva, per dire, Woody Allen) e l’approdo in prima serata, ma più difficile, più onesta, più sincera, meno ipocrita. Le hanno chiesto mille volte di chiedere scusa, per le sue battute, ma Joan Rivers non l’ha mai fatto.

E proprio per questo i tentativi maldestri degli autori de La Fantastica Signora Maisel non riescono neanche vagamente a conferire a Midge Maisel la portata caustica della vita e dell’arte di Joan Rivers. Ne raccolgono la superficie, confermando l’attuale incapacità di creare un reale conflitto attraverso la comicità, appoggiandosi sul consolante senso di conferma della parabola professionale ed esistenziale di Midge Maisel, e svuotando di senso la devastante e disperata forza della comicità di Rivers, una che, bannata dalla televisione, ci rientrò solo molti anni dopo (portandosi un cuscino per le emorroidi), una di fronte alla quale David Letterman, dopo averla invitata nel suo celebre show, si tolse la giacca prima di abbandonare lo studio, durante l’intervista, a causa di ciò che Rivers stava dicendo, lasciandola sola a raccontare cose sconce e meravigliose, una che quando il marito si suicidò affermò, poco dopo, «si è ucciso perché mi sono tolta il sacco dalla testa mentre facevamo l’amore», giusto per banalizzare con qualche esempio. Una figura esplosiva, che ha anche il merito di non essere stata minimante compresa, pensando che si stesse parlando di politicamente (s)corretto, dalle persone mediocri che l’hanno osannata — gente come Guia Soncini per capirci.

Una storia, la propria, “ridicolizzata” senza mai volersi e sentirsi in dovere di giustificare le sue battute, senza quei pelosi «stavo scherzando» di cui Midge Maisel invece riempie non solo la sua vita, ma anche il rapporto con l’altro grande stand-up comedian presente nella serie, chiamato espressamente con il suo nome, ossia quel Lenny Bruce a cui la contro-cultura degli anni ’60 e la relativa libertà di espressone devono tantissimo, morto a quarant’anni per un’overdose di morfina, perseguitato e più volte arrestato dopo gli spettacoli, e quindi processato per oscenità (verbali). Una figura controversa, direbbe qualcuno, divisiva — nel senso che questo tempo orribile e vergognoso che viviamo attribuisce a cose come la Resistenza — e che nella serie di Sherman-Palladino, non a caso, compare a singhiozzo e sparisce presto.

Non basta: le donne che raggiungono il successo — sia Midge Maisel che Susie Myerson, ma alla fine anche Sophie Lennon (personaggio straordinario ispirato a una comica realmente esistita che ebbe violenti screzi con Joan Rivers) — descritte da Sherman-Palladino assomigliano drammaticamente a quegli stessi uomini di cui vorrebbero distruggere il predominio, oppure incarnano alla perfezione il compiacimento dello sguardo maschile desiderante e colonizzante e ad esso si offrono anche quando sembrano contrastarlo.

Ecco allora che l’utilizzo di un’icona fratturante (di più icone, addirittura), spogliata della propria carica sovversiva, serve oggi a normalizzare, a creare santini — come fanno ad esempio quei cialtroni di Comunione e Liberazione con Pasolini — e ad anestetizzare il confronto, ponendo limiti e segnando confini d’accettabilità, così che il Potere e i suoi scherani non si sentano turbati.

La Fantastica Signora Maisel è una bellissima serie, brillate e divertente, commovente e coinvolgente, conservatrice e rassicurante, e non è nient’altro. Non è poco, assolutamente, ma non è nient’altro.

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