La pietra miliare del brivido: PSYCHO, oggi.

La pietra miliare del brivido: PSYCHO, oggi.

Partiamo da Vestito per uccidere di Brian De Palma. La prima volta che lo vidi fu uno shock: senza svelare troppo del film (vi consiglio di recuperarlo se non l’avete mai visto), ricordo la sera, dopo i titoli di coda in televisione, quando io e mia sorella rimanemmo spaventati a morte dall’idea di entrare nel bagno di casa per lavarci i denti e andare a dormire. Il bagno di notte, col suo specchio sul lavandino, divenne uno dei miei incubi peggiori.
Lo stesso shock fu ancora più grande quando, sempre da piccolo, mi capitò di vedere per la prima volta Psycho. Per fortuna in casa mia di cantine non ce n’erano, ma di scale sì, e per quello penso fosse più colpa del remake di Gus Van Sant, di cui ho sempre avuto un vago ricordo in televisione proprio della scena con l’ispettore Arbogast che entra in casa di Norman Bates.

Perdonatemi questa nota personale ma parlare di Psycho oggi mi scatena un reticolato di ricordi infantili. Ecco, proprio mentre concludevo la frase precedente è emerso dalla memoria un elemento che mette a fuoco il ricordo della prima visione di Psycho: lo vidi nella casa in campagna dei miei zii e lì una cantina in effetti c’era, ma per fortuna non ci sono mai dovuto entrare o correre per nascondermi (anche e soprattutto per paura dei ragni). Tuttavia, i ricordi sono un po’ confusi nel mettere in ordine queste visioni del brivido fin qui menzionate (aggiungiamoci Suspiria e Lo Squalo) e tutte un po’ aleatorie (e sicuramente salutari per un bambino). Le immagini del remake di Van Sant e del film di De Palma le ricordo un po’ come agguati improvvisi da dietro l’angolo del palinsesto televisivo.

Le piattaforme streaming di oggi ancora non esistevano, quindi era più facile che i film ti capitassero addosso, mentre fai zapping, un po’ come mentre fa la doccia Janet Leigh, spuntando all’improvviso come un taglio di coltello (e di montaggio, “every cut is a cut“, raccontava l’attrice), segnando la tua vita di spettatore (e quindi di guardone). Ti capitavano addosso, un po’ come i personaggi di Psycho che non fanno altro che capitare nella strada abbandonata del Bates Motel, lontano da quella principale, in mezzo ad una campagna californiana mai vista prima di allora, così innocente e spietata, come le visioni sconvolgenti che ci portiamo dietro fin da bambini (come insegna il bellissimo Fabelmans di Spielberg)

Psycho prima di tutti è uno di quei film (il film) che rivendendolo ogni volta è un film diverso (indipendentemente dal formato e dalla copia che hai sotto gli occhi, che sia in televisione o nella versione restaurata in 4K distribuita nelle nostre sale l’anno scorso). Lo fa perché è prima di tutto un’esperienza che ancora oggi, anche se sai già come va a finire, è in grado di manipolarti col suo sguardo beffardo, lasciarti indifeso e vergine dietro a quelle ultime parole che ti ronzano in testa, nella doccia, dietro quella tenda, o in fondo a quelle scale. Come diceva Hitchcock a Truffaut: è un film puro.

Non conta il soggetto, non conta la morale, nemmeno le magnifiche interpretazioni dei poveri sventurati personaggi (di cui il/la protagonista, ma quale poi? Siamo ancora qua a parlarne): conta l’emozione pura dell’atto di guardare ed essere guardati, del brivido nudo e crudo, di un faccia a faccia con l’orrore, con la paura e il desiderio, con l’impotenza di essere spettatori, vittime e carnefici, mentre osserviamo qualcosa che ha cambiato la forma espressiva del Novecento, e che può farlo ancora adesso, soprattutto ora, dopo 60 anni. 

Parlando oggi di Psycho (e del cinema di Hitchcock in toto) si rischia di darne per scontata la grandezza e l’importanza. Nel nostro attuale panorama mediatico, la sua eredità rischia di rimanere materia esclusiva per appassionati e cultori di cinema, di noi cinéphiles, e non di quelle masse popolari e urlanti che lo videro la prima volta in sala. Si rischia di disperderlo nell’odierno agglomerato popolare di immagini sempre più anonime, serializzate, diluendo il primato dell’immagine cinematografica come la biografia di Norman Bates (basti pensare alla serie prequel Bates Motel).

Mentre Psycho è ancora qui, e per fortuna torna ancora al cinema, dopo più di mezzo secolo quando il suo regista ormai anziano fu capace di reinventare se stesso e la sua ultradecennale carriera (per cui si era già guadagnato il titolo del maestro del brivido e di mascotte televisiva di Alfred Hitchcock presents): lo fece con un film a basso costo, in bianco e nero (dopo lo sfarzo cromatico dei film precedenti), con poche location e, soprattutto, partendo dalla televisione, con la troupe di quel mezzo comunicativo che stava cambiando le sorti consumistiche, politiche e sociali degli Stati Uniti del dopoguerra. Dopodiché la sua eredità ha attraversato i decenni a venire, impartendo la sua lezione a DePalma, a Van Sant (in quell’operazione assurda e ancora sottovalutata che è il suo remake del 1998), e in autori contemporanei come Shyamalan.

Senza dimenticare lo status di registi come Tarantino e Nolan, eredi di Hitchcock nel concepimento dello spettacolo collettivo in sala, ponendosi come direttori d’orchestra dell’immaginario collettivo, secondo la lezione promozionale di Psycho quando esortava gli spettatori ad essere puntuali e soprattutto a non rivelare nessun dettaglio sulla trama, su quei 40mila dollari sui quali Janet Leight mette gli occhi, la prima e ultima volta. E penso che debba essere ancora così, per quanto sia difficile oggi mantenere il segreto, quando le immagini moltiplicate di Psycho possono capitarti sui reel di Instagram o TikTok, mixate insieme a chissà cos’altro.

Ma non importa, continueremo a rubare quei soldi insieme a Marion, occasi facit furem (è la storia del cinema, da von Stroheim ai fratelli Coen di Fargo): e quando sarà il momento di ripensarci sarà ormai troppo tardi, il film è già iniziato e Anthony Perkins ci sta già guardando da dietro al muro. E’ l’ora del casaba, musica di Bernard Herrmann.

Psycho di Alfred Hitchcock si potrà vederlo nuovamente al cinema il 4 settembre 2023 a Forlì all’Arena Eliseo alle 21:30. Introduce il film Luca Petralia coautore di Ti presento Alfred.

La proiezione fa parte della rassegna Nuove [Re]Visioni | Meet the Classics!, un progetto The Act of Looking organizzato da Sunset Studio e Tiresia Media in collaborazione con Cineteca Bologna e Cinema Saffi d’essai, e noi di BILLY – rivista di cinema e altre perversioni siamo media partner.

logo

Related posts

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom, USA, 2012, Wes Anderson (R.), Wes Anderson e Roman Coppola (Sc.) Wes Anderson si può amare od odiare, ma una cosa certamente gli va riconosciuta: è dannatamente elegante. Nella costruzione del quadro, nei movimenti di macchina, nella fotografia, nella scelta delle location...

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

A spasso nel tempo. Better Call Saul si conclude dopo sette anni dalla sua prima messa in onda. Iniziò tutto con Uno, primo episodio scritto e diretto da una delle due menti che presiedono l’intera architettura narrativa dell’universo di Breaking Bad, nato con la prima stagione del 2008. Nome...

Django Unchained

Django Unchained

Django Unchained, USA, 2012, Quentin Tarantino (R. e Sc.) Ci risiamo, torna Tarantino con il suo stile scoppiettante e ammiccante. I fan gioiscono, e i meno fan apprezzano. Dopo le disamine della blaxploitation di Jackie Brown, del cinema orientale di Kill Bill...