Beef – Le conseguenze di uno scontro

Beef – Le conseguenze di uno scontro

Se cercate su Google Beef – Lo scontro e cliccate poi il link che rimanda alla pagina di Wikipedia relativa alla serie, la trama che vi trovate davanti per raccontare senza spoiler ciò che viene narrato nelle sue dieci puntate non supera la lunghezza di un rigo, e dice letteralmente questo: “Un incidente stradale consuma lentamente le due persone coinvolte”. La prima volta che ho letto questa sinossi ho pensato a una serie incentrata sui viaggi mentali di due persone ormai in fin di vita che, perse in una profonda esperienza pre-morte, rivivono il loro passato con la quasi totale consapevolezza di non avere un futuro da affrontare. Che viaggione, direte voi, e avete ragione, perché non potevo essere più lontana dall’averci visto giusto. Il fatto è che leggendo il titolo in italiano di Beef ho pensato subito a un racconto incentrato sulle conseguenze fisiche – del corpo – di uno scontro fisico – l’incidente. Niente di più sbagliato. Perché le conseguenze di uno scontro fisico possono essere ben più ampie di quelle che ci fanno arrivare all’ospedale con una gamba rotta e qualche contusione, possono segnare sia fuori che dentro e possono aprire altri scontri su altri piani, prima di tutto quello con noi stessi.

Le conseguenze di un clacson di troppo

A chiunque abbia la patente, ma in realtà a chiunque abbia anche solo messo piede su una qualunque strada in tempi successivi a quelli delle carrozze, è capitato almeno una volta nella vita di assistere a – o di essere protagonista di – uno scontro tra automobilisti. Non parlo di incidenti veri e propri, ma di ostilità verbali del tipo “Mi hai rubato il parcheggio!”, “Ma ti rendi conto che hai occupato due posti con una Smart?”, “Ma guarda avanti!”, “Hanno inventato la freccia per un motivo, stro***!”. Sono tutti focolai di piccoli scontri che la maggior parte delle volte si risolvono con un dito medio alzato e una sonora suonata di clacson, ma niente di più. Questi fenomeni sono però anche la rappresentazione di qualcosa di più grande, di un generale e diffuso senso di ardore e insoddisfazione che paradossalmente è più facile riversare su un ignaro guidatore che affrontare in modo consapevole. Ma cosa succede se il dito medio e la sonora suonata di clacson prendono una piega diversa? Se invece di essere messi da parte come un momento di ordinaria amministrazione diventano l’inizio di una vera e propria faida?

È da questo punto di partenza che prende il via la storia raccontata in Beef, quella di due vite apparentemente distanti che si incrociano per un momento e che da lì in poi non riescono – o non vogliono – separarsi più. Amy è una ricca imprenditrice che sta cercando di vendere la sua attività per poter passare più tempo con la sua famiglia apparentemente perfetta; Danny invece, pur impegnandosi nel suo lavoro come appaltatore – nel quale a dirla tutta non è proprio un asso – lotta costantemente per raccogliere i soldi necessari a far tornare i suoi genitori negli Stati Uniti dalla Corea del Sud. Queste due vite sembrano destinate a non doversi incrociare mai: troppo diverse, praticamente agli antipodi, troppo piene ognuna dei propri guai per poter incontrare l’altra. Ma quando l’incontro – anzi, lo scontro – avviene, innesta una serie di conseguenze che poco hanno a che vedere con lo screzio in auto in sé e molto invece con la condizione di esseri umani infelici che entrambi vivono.

Quella che prende il via con l’inseguimento in auto tra Amy e Danny è una trama paradossale e tragicomica composta da una serie di vicende concatenate che partono come piccoli vicendevoli dispetti – una pipì sul pavimento tutto sommato nel contesto di Beef può essere considerata poca roba – e sfociano in conseguenze catastrofiche tanto per le vite private dei protagonisti quanto per quelle di coloro che li circondano. Puntata dopo puntata, dispetto dopo dispetto, Amy e Danny danno vita a un circolo assolutamente non virtuoso che li porta a fare sempre qualcosa in più, a spingersi sempre un po’ oltre il limite precedentemente autoimposto, fino ad arrivare al punto da non riuscire più a percepirne uno. E, a volte palesata altre volte più implicita, nelle loro teste si fa strada una domanda: ma cosa sto facendo?

Eccolo lì, è proprio lui: il dilemma morale.

Forse non dovrei fare quello che sto per fare, forse questa non è la scelta giusta, forse è il caso che mi fermi un attimo a ragionare sulle decisioni che sto prendendo prima che sia troppo tardi: sono tutti pensieri che da qualche parte nelle profondità delle loro menti sia Danny che Amy elaborano, ma che nella quasi totalità delle occasioni mettono da parte. Il dilemma tra ciò che sarebbe meglio – o forse più giusto – e ciò che invece il loro istinto li porta a fare prende piede costantemente ma altrettanto costantemente viene seppellito dal bisogno di avere di più, di prevalere nei confronti della persona sulla quale riversano senza neanche accorgersene tutte le loro frustrazioni. Chi determina però ciò che è giusto? Ci sono momenti in cui per Danny è giusto non dare fuoco a una macchina con all’interno una bambina, ma ce ne sono anche altri in cui ritiene giusto che suo fratello non abbia la possibilità di una carriera universitaria per continuare a stare vicino a lui, o mentirgli per non ammettere di aver sbagliato. Questo fa di lui una brutta persona?

A una prima veloce occhiata sì, ma in verità anche no, e questo Beef lo racconta benissimo. In un contesto socio-culturale che si alimenta delle sue stesse contrapposizioni e che ha bisogno e spesso pretende che ci siano un bene e un male, un buono e un cattivo, giusto e sbagliato, questa serie racconta di un loop composto da cose sempre più potenti senza mai tacciare nessuno di giudizi negativi. Sia Amy che Danny credono di essere – o piuttosto vogliono convincere se stessi di essere – delle brave persone, di quelle che si impegnano a fare le cose per bene e che non potrebbero far del male a una mosca. Entrambi invece si ritrovano ad alimentare un fuoco fatto di azioni meschine, crudeli e a volte estremamente pericolose, mettendo la propria sete di vendetta davanti a tutto il resto. Nessuno dei due, però, viene preso per questo come riferimento del concetto di male assoluto nel mondo, cosa che utilmente ci ricorda quanto invece noi tendiamo a essere ottimi giudici quando si tratta delle azioni altrui, ma pessimi quando si parla delle nostre. Amy non è cattiva e non lo è nemmeno Danny, ma entrambi non sanno come vivere in un mondo che, per quanto nella diversità delle loro situazioni, chiede loro sempre qualcosa in più, uno sforzo che però non tiene conto delle emozioni, paure, insoddisfazioni di ognuno.

Le risposte dei protagonisti di Beef al proprio dilemma morale sono spesso quelle che la società non ritiene giuste

Sono pochi, pochissimi, i fattori che messi in contrapposizione con la volontà di colpirsi ancora gli fanno scegliere di desistere, li portano verso Il Bene. Ma il fatto è che cercare di abbattersi a vicenda rende Amy e Danny paradossalmente un appiglio l’uno per l’altra. Per quanto assurdo sia, sono l’uno per l’altra quella causa di forza maggiore che gli permette di non affondare nel proprio baratro, una ragione di vita alla quale si aggrappano senza volerlo. E proprio nel loro scontro trovano un’insperata salvezza. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico, si dice. Forse però, considerando quanto il concetto stesso di ciò che è diabolico possa essere soggettivo, umano a volte è anche perseverare.

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