Asteroid City: L’importanza di raccontare una storia
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 4
Cast 4
Colonna sonora 3

Eccentrico, ingarbugliato e riflessivo, Asteroid City di Wes Anderson ha sicuramente rafforzato l’astio dei suoi detrattori nei confronti dell’elaborata ma innegabilmente inusuale costruzione del mondo del regista, ma questa volta pare aver diviso anche i suoi ammiratori, che forse sono stati delusi da un sistema di scatole cinesi che per tutta la sua durata rischia ..

Summary 3.6 bello

Asteroid City: L’importanza di raccontare una storia

Eccentrico, ingarbugliato e riflessivo, Asteroid City di Wes Anderson ha sicuramente rafforzato l’astio dei suoi detrattori nei confronti dell’elaborata ma innegabilmente inusuale costruzione del mondo del regista, ma questa volta pare aver diviso anche i suoi ammiratori, che forse sono stati delusi da un sistema di scatole cinesi che per tutta la sua durata rischia di tenere il pubblico a distanza emotiva pur essendo ad oggi la sua pellicola più profonda ed esistenziale.

Ambientato negli anni ’50 in una cittadina di 87 abitanti nel deserto americano, Asteroid City necessita innanzitutto di un apprezzamento per il set design che sembra evocare fin dai primi fotogrammi una versione cartonizzata del lessico visuale del fotografo William Eggleston. I colori vibranti, che virano dall’ocra dell’arenaria alle tonalità di rosa tenue e al calmante verde acqua, si combinano con i simboli che hanno contributo a mitizzare il sud americano – il motel, la pompa di benzina, la tavola calda – per calarci in una cartolina nostalgica e retrò. Unica nota straniante in questo paesaggio ben scolpito nell’immaginario collettivo, è la presenza di un’attrazione turistica insolita, un cratere gigante lasciato da un asteroide di 3.000 anni fa con un annesso osservatorio che ospita una convention annuale di “Junior Stargazers”.

Tra gli ospiti della cittadina, c’è il protagonista Augie Steenbeck (Jason Schwartzman, attore feticcio di Anderson), un fotografo di guerra da poco vedovo che ha portato il figlio Woodrow (Jake Ryan) alla Convention insieme alle tre figli minori. All’inizio del film, l’auto della famiglia Steenbeck si guasta, ed Augie è costretto a chiamare suo suocero Stanley (Tom Hanks) per venire a prendere le ragazze. La chiamata rende necessario per l’uomo rivelare alla sua prole che il Tupperware che strige tra le sue mani contiene le ceneri della loro madre defunta.

Da questo momento in poi, la vita dei protagonisti si intreccia con molteplici narrazioni che ci mostrano i frammenti delle storie degli altri ospiti/partecipanti. Ci sono Midge (Scarlett Johansson), una star del cinema caratterizzata da un persistente malaise, e sua figlia, Dinah (Grace Edwards), un’altra Junior Stargazer e interesse amoroso per Woodrow, e le altre accoppiate di genitori-figli in gita nel deserto. E infine, c’è il protagonista più inaspettato di tutti: un alieno che atterra in città e ruba il meteorite.

Tuttavia, nulla di quello che ci è raccontato è “reale” poiché Asteroid City è un film su uno show televisivo sulla costruzione di una pièce teatrale in tre atti. L’audience di Anderson deve difatti navigare tra tre diverse trame. Quella appena descritta, e le altre due che le fanno da cornice. In primo luogo, c’è Bryan Cranston, un conduttore televisivo degli anni ’50 che introduce il pubblico a una produzione televisiva dal vivo dell’opera teatrale contenuta nel film, e in secondo luogo c’è Conrad Earp (Edward Norton), un drammaturgo di New York, che visitiamo di tanto in tanto in sequenze in bianco e nero mentre illustra la costruzione dello spettacolo.

Ma qual è il punto di questi molteplici livelli di artificio? Mentre guardiamo, possiamo iniziare a tracciare delle corrispondenze tra la storia e la “commedia”. Augie e l’attore che lo interpreta, Jones Hall, hanno infatti entrambi subito una perdita recente. Il personaggio di Augie, o meglio la storia che viene raccontata, diviene quindi lo strumento attraverso il quale Jones può potenzialmente elaborare il lutto che ha subito nella sua realtà.

Queste somiglianze rimangono però sempre sottili. Non c’è una corrispondenza univoca tra finzione e realtà, perché Anderson vuole suggerire che la finzione dovrebbe avere la libertà di significare qualsiasi cosa, anche niente. All’inizio del film sentiamo parlare di un evento nella rappresentazione teatrale che nemmeno l’autore riesce a spiegare. Più tardi, dopo aver visto quel momento, la star si confronta con il suo regista, che gli dice di smettere di preoccuparsi del significato più profondo e di “continuare a raccontare la storia”.

Il device narrativo della play within a play, la storia nella storia, utilizzato da Anderson trova forse il suo antenato più celebre nell’Amleto di Shakespeare, la tragedia con l’eroe esistenzialista per eccellenza. In uno dei passaggi più citati dell’opera, Amleto ricorda che “l’obiettivo di un’opera teatrale è quello di fare da specchio alla natura”. In quest’ottica continuare a raccontare la storia non è quindi solo il compito assegnato ai personaggi del film/commedia, ma è il messaggio che Anderson affida anche alla sua audience: la vita è una storia che dobbiamo continuare a scrivere nonostante molti dei nostri “come” o “perché” rimarranno probabilmente irrisolti.

Asteroid City si presta quindi a essere eletto come il manifesto della poetica di Wes Anderson, la risposta definitiva a tutti i critici che lo hanno accusato di essere tutto stile e niente sostanza: solo attraverso l’artificio e la finzione si può raccontare autenticamente l’essenza dell’esperienza umana, o in altre parole: “You can’t wake up if you don’t fall asleep”.

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