The Bear II

The Bear II

Tra le domande esistenziali che tipicamente accompagnano la fine di un anno, le lettrici e i lettori di Billy si saranno sicuramente chiestə come mai la loro rivista preferita non ha ancora parlato della seconda stagione di una delle serie più belle degli ultimi anni (la recensione della prima la trovate qui). 

La risposta è che, come spiega il nostro editoriale, dicembre, con la sua atmosfera natalizia, è il mese che più di tutti spinge a fare i conti con le proprie radici, ed è proprio di questo che parla la seconda stagione di The Bear

Uno dei redattori di Billy ha una teoria secondo cui il sesto episodio di una stagione è sempre quello più importante e significativo di tutti. Non sono sicura che questa teoria sia sempre verificata, ma lo è sicuramente in questa stagione. 

“Pesci”, il sesto episodio di The Bear II, è l’unico scollegato dagli eventi della serie, un lunghissimo flashback che definirei “anti natalizio” per eccellenza. Una sola puntata aiuta a comprendere a fondo la personalità della maggior parte dei personaggi, e le dinamiche che li muovono, meglio di come potrebbe fare qualunque manuale di psicologia. 

“Pesci” racchiude il Christmas blues, la depressione natalizia, nel racconto forsennato di una famiglia disfunzionale, e disvela le radici dei traumi familiari che inevitabilmente riescono a scolpire le fondamenta di ciascunə di noi. Si tratta di un episodio rivelatore, che toglie il fiato e stanca emotivamente, ma che tiene insieme tutte le fragilità di personaggi che, nonostante le loro singolarità, diventano dei tipi umani nei quali ognunə di noi si può riconoscere. 

Donna, la madre con evidenti problemi mentali, rappresenta quell’ansia di rendere tutto perfetto che rovina qualsiasi momento, insieme a quell’incessante ricerca di riconoscimento che non arriva mai o che mai riesce a colmare quel senso di vuoto che la genera. 

Mikey rappresenta quel tipo di adattamento alle difficoltà della vita che tende a minimizzarle e a nasconderle finché non diventano dei mostri inaffrontabili, che lo distruggono.

Sugar rappresenta l’amore malato che si trasforma in ansia e nella missione impossibile di proteggere sua madre da sé stessa, con tutto il carico insopportabile di frustrazione e impotenza che ne deriva. 

Carmy rappresenta l’inadeguatezza dello stare al mondo, l’obbligo morale che lega tutti i componenti di una famiglia, il senso di colpa che accompagna sempre qualunque membro scelga di andarsene e di costruirsi il suo destino il più lontano possibile dal posto che “dovrebbe” – ma che non riesce a – chiamare “casa”. 

I sette pesci, che rappresentano il sacrificio a cui bisogna sottoporsi per l’amore della famiglia, sono l’esempio lampante dell’insensatezza e, al contempo, dell’importanza delle tradizioni, di cui nessunə si ricorda l’origine e il significato, ma che continuiamo pedissequamente a seguire, per paura di tradire qualcosa. 

Questa serie, e questo episodio in particolare, mi hanno ricordato l’anziana donna de “La Grande Bellezza” di Sorrentino che, alla fine del film, spiega perché mangia sempre radici, con una frase retorica ma pesantissima: «perché le radici sono importanti». 

E le radici qui emergono in quella lingua parlata dai fratelli Berzatto, che somiglia a tutte le lingue che parlano i fratelli o i membri di una famiglia. Una lingua fatta di frasi antiche, che per il resto del mondo non hanno nessun significato, ma che per loro aprono un universo fatto di ricordi, di infanzia, di gioia, di malinconia, di traumi, di esperienze che li hanno resə quello che sono oggi, anche se non se ne sono accortə. 

«Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d’un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra». (Lessico famigliare, Natalia Ginzburg). 

Tutto questo e molto altro è racchiuso in questa serie, condensato in ritmi frenetici, in poche battute, in una frase, che Mickey ripete a suo fratello e che sarà l’ultima che gli scriverà prima di togliersi la vita: “Let it rip”, traducibile in italiano come “Lascialo andare”. Ma “to rip” in inglese significa, “strappare”, “lacerare”, quindi è un invito a lasciarsi strappare, lacerare e attraversare dal dolore e dai sentimenti incastrati nelle nostre viscere, per potersene liberare e non lasciarsi squarciare dalle radici. 

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