Inu-Oh: il “film concerto” attraverso i secoli.
Masaaki Yuasa è un regista non ancora troppo noto al pubblico italiano ma non è di certo un nome nuovo per i più appassionati: la sua carriera conta innumerevoli opere con le quali si è costruito la sua reputazione, quali Mind Game, Lu e alla città delle sirene, Ride your wave e l’anime Devilman Crybaby su Netflix (per menzionare alcuni titoli).
Con Inu-Oh ci troviamo di fronte a un’opera ufo all’interno del ricco influsso dei film d’animazione provenienti dal Sol levante, spesso riconducibili alle opere firmate Studio Ghibli e nomi più o meno noti come Mamoru Hosoda o Makoto Shinkai. Masaaki Yuasa svia il sentiero degli immaginari più familiari cimentandosi in una terra di mezzo del romanzo storico sulle radici della cultura giapponese, quella che si consolidò durante l’era Muromachi. Lo shogun di quel tempo, Ahikaga Yoshimitsu, istituzionalizzò il teatro Noh come lo conosciamo ancora oggi, proibendo tutte le altre forme di espressione come quella di Inu-oh, il protagonista eponimo del film presentato in anteprima a Venezia nel 2021 e poi al Far East di Udine l’anno dopo, per poi arrivare nelle sale italiane l’anno scorso grazie al prodigioso lavoro di Double Line. L’ambizioso tentativo del regista è quello di fornirci un punto di vista insolito sulla storia del Giappone applicandoci l’ottica deformante dell’animazione con la quale assistere a un “concerto storico”. La sala cinematografica diventa quindi il luogo deputato per eccellenza da cui osservare le esibizioni musicali dei due protagonisti: Inu-Oh e Tomona.
Per i più accorti il periodo storico è lo stesso del celebre Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki, nel film di Yuasa però siamo lontani dal misticismo fantastico dello Studio Ghibli: lo sfondo storico di Inu-Oh ci perviene attraverso un recupero delle forme culturali dell’epoca, come quella dei cantastorie, custodi che tramandano oralmente le gesta e leggende che si annidano nell’inconscio della società giapponese del tempo. Il dato storico viene ricondotto e ampliato dentro un grande lavoro immaginifico, dove gli elementi folkloristici del tempo si trasfigurano in una declinazione contemporanea che richiama l’opera rock. Basti pensare al lungo prologo sulle origini del primo personaggio, Tomona, il giovane cieco suonatore di biwa che diverrà partner musicale di Inu-oh: una digressione ci narra la sorte del clan Taira nella battaglia di Dan-no-mura, dalla quale riemerge la leggenda dei granchi heikegani sui quali sono raffigurati i volti dei guerrieri caduti. Lo stile richiama la pittura delle illustrazioni su paravento, ma è solo uno dei tanti richiami stilistici che innervano l’estetica del film, sospesa tra le forme classiche e quelle contemporanee. La percezione del mondo che circonda Inu-Oh e Tomona muta costantemente, e loro insieme alla carica delle loro performance che occupano almeno tre lunghe sequenze musicali.
Come un vero e proprio film-concerto dai contorni surreali, il passato di Inu-oh e Tomona riacquista un colore inedito, un’energia trasgressiva e magica che rema contro le costrizioni sociali e culturali volute dallo shogun, provocate dal consenso delle platee che si radunano insieme ai due artisti. Alle irresistibili partiture musicali si accompagnano quindi anche quelle cinematografiche di Inu-Oh e Yuasa, il corpo deforme, mutante e danzante del primo e l’audace lavoro di messa in scena del secondo, che organizza il suo sguardo con un ricco impiego di dispositivi formali e pittorici, dove anche il tratto pittorico più minimale convive armoniosamente con l’uso attento dell’animazione digitale.
Un film unico come i suoi protagonisti, figure reiette e allontanate dalla società del tempo, relegate in qualche anfratto buio che perviene fino al nostro presente, dove un semplice accordo di biwa può ancora vibrare nel frastuono contemporaneo, riportandoli in vita attraverso i secoli e reclamare la loro amicizia, la loro libera espressione di una volta, molto tempo fa, qui e ora.