Persepolis: non siamo senza storia

Persepolis: non siamo senza storia

Cosa vi viene in mente se vi dico film d’animazione? A me scenari incantati, principesse che roteano le gonne di vestiti dalle tonalità pastello e saggi animali parlanti. Sia ben chiaro, so benissimo che il mio immaginario è inquietantemente e problematicamente limitato, ma cosa posso farci io se sono cresciuta con i classici Disney? Resettare il cervello di una persona che è stata bambina nei primi anni Duemila non è mica facile. Ciò non significa però che non ci si possa provare. Negli anni ho sviluppato quella che può essere definita quasi una repulsione per il genere, cosa che mi ha portato a scegliere sempre pochi film d’animazione ben selezionati. Vuoi perché – per l’appunto – la sola idea del genere mi fa pensare troppo alle principesse, vuoi perché il processo di immedesimazione nelle storie mi costa maggiore fatica, fatto sta che non sono il mio genere.

Tutto ciò per dire che nel momento in cui mi è stato chiesto di parlare di Persepolis mi sono fatta una grande domanda: sono davvero la persona giusta per farlo?

In un primo momento mi sono detta: certo che no. Poi però ho continuato dicendomi ma perché no? Dopotutto se ha ricevuto il Premio della Giuria a Cannes, se è stato nominato per la Palma d’Oro, i Golden Globes e gli Oscar, un motivo ci sarà. E infatti c’è. E quindi io Persepolis l’ho cominciato, l’ho ricominciato, ci ho riflettuto su, è stato oggetto dei miei pensieri e dei miei appunti, prima di arrivare a questa recensione che in realtà come al solito è più una riflessione. E sono arrivata alla conclusione che non solo è un gran bel film d’animazione, ma è anche il film di cui non sapevo di avere bisogno. Morale della favola, se siete fan dell’animazione ci sono buone probabilità che Persepolis sia il film che fa per voi, ma se come me siete pieni e piene di pregiudizi infondati sul genere, Persepolis li prende e li ribalta come un calzino. E cosa c’è di meglio che ribaltare un po’ di stereotipi senza senso?

Dall’Iran all’Europa e viceversa

Partiamo da un presupposto: la storia di Persepolis non è né semplice, né banale, né incantata. Al centro c’è Marjane Satrapi, fumettista e illustratrice – anche se credo che questa definizione sia nei suoi confronti piuttosto limitata e limitante – che ha deciso di raccontare un po’ della sua vita prima in una graphic novel e poi in questo omonimo film, che ha scritto e diretto insieme a Vincent Paronnaud. Il racconto prende il via alla fine degli anni Settanta, quando Marjane ha nove anni ed è una bambina che, come lei stessa afferma, vive ancora senza storia, con gli unici sogni vitali di radersi e di essere l’ultimo profeta nel mondo. Vive tranquilla con i suoi genitori, adora sua nonna, si lascia affascinare dalle idee che le vengono proposte ed è ancora ignara delle vicende che intanto si stanno sviluppando tra le strade della sua città, Teheran, mentre lei dorme sonni tranquilli.

Ma si sa: l’attualità non fa sconti a nessuno, che si abbiano nove o novant’anni, e Marjane ci mette poco a essere catapultata nella realtà. Una realtà fatta della volontà di abbattere il regime dello Scià, di ideali seguiti e mancati, della rivoluzione che imperversa tra le strade di un Paese che ancora non lo sa, ma cambierà faccia diverse volte in modo forte e repentino. La presa di consapevolezza della rivoluzione iraniana nel 1979 coincide con il momento in cui l’infanzia di Marjane si modifica radicalmente, o forse termina per sempre nella sua versione più pura, lasciando prima spazio a una bambina sempre più consapevole, poi a un’adolescente ribelle che fatica a trovare il suo posto nel mondo e dopo ancora a una donna che persegue – non senza inciampare – i suoi ideali.

Da bambina cresciuta in una famiglia che abbraccia modi di vivere non conformi né al regime dello Scià né alla successiva Repubblica Islamica, Marjane diventa un’adulta che si trova – in maniera tutt’altro che banale – ad affrontare i suoi demoni interiori e contemporaneamente quelli che la società repressiva le impone. Chi sono? Cosa provo? Cosa penso? Come voglio vivere la mia vita? Sono tutte domande personali che non possono non intersecarsi inesorabilmente con la storia che si svolge mentre la protagonista se le pone, la storia complessa di un Paese che non ha ancora finito di viverla. Le risposte che si dà cambiano insieme a lei, riflettendo le esperienze che vive nella sua città natale e fuori dai confini dell’Iran. E se la piccola Marjane dell’inizio di Persepolis è ancora felicemente senza storia, la grande Marjane del resto del film si ritrova a doverci fare i conti costantemente. E questo oggi come allora, in Italia come in Iran come in qualsiasi altra parte del mondo, è qualcosa che nessuno di noi – chi più, chi meno consapevolmente – può evitare.

Contraddizioni in essere e in divenire

Il rapporto innegabile e indissolubile tra le vicende personali e quelle politiche, culturali e sociali del proprio (o dei propri) contesti di vita è forse l’elemento che più di tutti rende Persepolis una storia di formazione universale. Ma no, non è l’unico: a fargli buona compagnia sono tutte le contraddizioni che il film porta avanti scena dopo scena, fase della storia dopo fase della storia. Cominciano subito, fin dalle prime scene del film. Sono in contraddizione i colori del presente e il bianco e nero del passato, Marjane che si aggiusta il velo e la donna a fianco a lei che fa lo stesso con il rossetto. Sono in contraddizione gli ideali esposti e la violenza con cui vengono repressi, la volontà di giocare e quella di fare male che diventano due facce della stessa infantile medaglia, le lezioni sulla morale femminile e i Bee Gees, gli uomini liberi di muoversi come preferiscono e le donne che non possono nemmeno correre se sono in ritardo senza rischiare di beccarsi – quando va bene – un’ammonizione. Sono in contraddizione le note musicali e i carri armati.

Tutto questo viene raccontato con uno stile altrettanto contraddittorio. L’altersi di crudezza e ironia è talmente evidente da fare quasi male, così come quello di scene felici e violente, dei sorrisi di bambina e delle morti brutali. Una contraddizione in essere ma anche in divenire, ben rappresentativa di un contesto politico-sociale in cui la semplicità è stata già archiviata e che determina le sorti di chi ne fa casa. È la contraddizione di chi vive sapendo di poter essere preso o presa dalla polizia in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, di chi decide di continuare a lottare anche se la lotta viene vista come un affronto da punire. La stessa di chi sa di poter morire in qualsiasi momento. Perché quando le condizioni sono più ostili, si prova ad affrontarle come si può, a volte piangendo e a volte sorridendo. Significa che si è ancora vivi, e la lotta continua.

Mi sembra di aver detto troppo e contemporaneamente troppo poco su Persepolis.

Il fatto è che il rischio di fare spoiler è sempre dietro l’angolo. E allora per combatterlo vi invito a guardarlo se non lo avete mai fatto e a riguardarlo se lo avete già visto. Magari ora potrete avere uno sguardo nuovo. Lo trovate in streaming su MUBI e, se siete particolarmente fortunati e fortunate a vivere nei dintorni di Forlì, lunedì 11 marzo in sala al cinema Saffi d’Essai per l’ultimo appuntamento con KINO – Storie di Cinema. Billy vi aspetta lì!

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