Piccole Giovani Marmotte crescono

L’aria fresca dell’alba mi riempiva di vita. Era un gran giorno. Con un ghigno stampato in faccia tanto bello da sembrare disegnato, mi appoggiai alla saracinesca di un negozio e presi a guardarmi le punte degli anfibi, nell’attesa che i miei compari arrivassero. Cappuccio tirato su a riparare le orecchie, mani rifugiate nelle tasche del piumino, e ghigno. Passò un vecchio furgone scassato che trasportava cassette di pesce marcio. La vita lavorativa del porto stava sorgendo assieme al sole. I miei compari erano in ritardo. Bestemmiai. Ma sempre col ghigno. Solo dopo dieci minuti che ero lì mi accorsi del barbone steso sul marciapiede dall’altra parte del piazzale, raggomitolato a faccia in giù. Piume sparse ovunque e una bottiglia di vino vuota. Che schifo di città.
Finalmente li vidi: parcheggiarono le biciclette poco più avanti e si avvicinarono. Qui guardava in giro, spaesato e un po’ teso. E’ sempre stato una mezzasega. Quo stava a viso basso, strafatto di chissà quale droga. Qua, il più sveglio, mi guardò dritto negli occhi, e tirò fuori una mano dalla tasca mostrandomi un coltellino a serramanico. Il mio ghigno si allargò. “Siamo pronti” mi disse. “Cosa avete detto allo Zio Paperino?” chiesi io. “Che andavamo in gita a Firenze con le giovani marmotte. Non ha fatto una piega. Lo sai che lo Zio non capisce un cazzo”. Salirono sulla mia Apecar e partimmo per Topolinia lasciandoci il tanfo di Paperopoli alle spalle.
Il piano era semplice. Sapevamo che Topolino dormiva solo, quella notte, perché Topolina era via per lavoro, a Rimini, a una fiera sul design ecosostenibile o stronzate radicalchic da borghesotti del genere. Quo sarebbe entrato dal camino, ci avrebbe aperto la porta della cucina dall’interno. Poi Qui avrebbe cominciato a rovesciare le latte di benzina in soggiorno e in cantina, mentre io, Quo e Qua avremmo puntato la camera da letto. I due fratelli avrebbero bloccato Topolino, ancora addormentato. Io lo avrei imbavagliato e finalmente gli avrei detto, guardandolo nei suoi occhi spalancati dal terrore, puntandogli il coltello alla carotide, ciò che pensavo. “Ecco, topo dimerda, prova a risolvere questa situazione, tu che risolvi tutto! Dai, saccente e saputello ratto toxoplasmoso, cerca di fermarci! Oh, tu che risolvi tutti i casi con l’intelligenza di Einstein, l’abilità di MacGyver e l’etica di Gandhi! A te che non va male mai niente nelle tue avventure, a te che vivi in questa bella e ricca Topolinia mentre la nostra Paperopoli sprofonda nello squallore, in mano ai criminali della banda Bassotti e agli affaristi senza scrupoli come Paperone! Ahah, prova a salvarti, ora. Ahah, prova a chiamare il tuo amico Basettoni!”. Così avrei detto. Il mio nome è Paperoga, e quello sarebbe stato un gran giorno.

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