Safety Not Guaranteed

Safety Not Guaranteed, USA, 2012, Colin Trevorrow (R.), Derek Connelly (Sc.)

Time may change me, but I can’t trace time, intonava il Duca Bianco prima di entrare nella red phone box più famosa di Londra, trasformarsi in Ziggy Stardust e conquistare la Terra. A due passi da Piccadilly Circus quella cabina telefonica c’è ancora e se ci torna in mente all’uscita dall’Odeon Cinema di Panton Street non è solo perché sappiamo di avercela alle spalle. Presentato all’ultimo Sundance Film Festival e sugli schermi londinesi dallo scorso Boxing Day (26 dicembre), come il vecchio e caro Ziggy anche Safety Not Guaranteed riflette sul tempo, le sue tracce e il suo/nostro possibile cambiamento. Un po’ commedia sentimentale e un po’ dramma, la pellicola di Trevorrow è tutto fuorché monotona (nel senso di “caratterizzata da unico tono”). Coinvolge come i più cult cult movies americani anni Ottanta/Novanta e  sconcerta come alcuni dei più sorprendenti prodotti low budget inglesi anni Sessanta. Sci-fi per necessità come i suoi predecessori, la sceneggiatura dell’esordiente Derek Connolly sfrutta un pretesto universalmente accattivante – come solo il viaggio nel tempo può essere – per dar vita all’ennesima analisi di tutto ciò che nella vita è considerato universalmente importante. Al centro di una storia fatta di – e pensata per – outsiders, minoranze, antieroi e quarantenni cresciuti a pane, burro d’arachidi e Back to the Future – e/o Ghostbusters e/o Groundhog Day, fate voi – la riflessione sul rapporto uomo-donna, su individuo-storia e individuo-Storia (l’anno del 9/11 è quasi sussurrato) non lasciano molto spazio ad altro. «Was there something wrong with Einstein and David Bowie? Just because the guy is trying to do something new doesn’t mean he’s a freak show» si chiede la giovane protagonista a proposito di un Doc in versione riveduta e corretta, prima di “imbarcarsi” (nel vero senso della parola!) con lui in un viaggio nel proprio passato recente. Ovvia nel 2012, la risposta al quesito avrebbe creato più di un dubbio tanto ai tempi del teorico della relatività quanto in quelli del padre del glam rock. A un anno dall’anno della rivoluzione, giusto gli inglesissimi Dudley Moore e Albert Finney avevano già capito tutto quello che Mark Duplass e Aubrey Plaza riusciranno a scoprire solo al termine della loro avventura… Che si abbia a che fare col diavolo (Bedazzled, 1967) o ci si scontri con i propri sbagli (Charlie Bubbles, 1967), la salvezza non è mai garantita. Rebel rebel (nel senso del verbo), then!

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