Old Boy

Old Boy

Old Boy, capolavoro indiscusso del 2003 di Park Chan-wook torna nei cinema in versione restaurata.

Per la prima volta mi approccio a scrivere qualcosa sulla riedizione di un film. Cosa si può dire di Old Boy che non si sia già detto da quando è uscito, quasi vent’anni fa, nelle sale cinematografiche di mezzo mondo? Ha davvero senso un’analisi fatta a posteriori quando tanto si è scritto e letto?

Domanda neanche tanto retorica, che in questo caso ha, per quel che mi riguarda, una sola risposta: parlare ancora del film rischia di essere un esercizio di stile, mentre è invece interessante capire in quale tipo di mondo ci troviamo oggi che il film di Park Chan-wook torna al cinema.

No, tranquilli, non parleremo del cambiamento a cui piattaforme di streaming e coronavirus hanno costretto i cinema, intesi come luoghi in cui il cinema si fruisce nella sua essenza più classica.

Parleremo invece di quanto il grande pubblico nel 2003 fosse (meno) pronto ad accogliere un film come Old Boy e di come lo sia invece molto di più oggi. Come a dire: quindici anni fa potevano esserci alcune attenuanti per non innamorarsene, nel 2021 non ce ne sono più.

Prima, però, qualche dato oggettivo: in Corea del Sud, nell’anno della sua uscita, Old Boy è stato il quinto film più visto della stagione, ha venduto oltre tre milioni e duecentomila biglietti portando al cinema un abitante su quindici.
Niente male per un lavoro che di commerciale ha ben poco.

Non solo: quando viene presentato al Festival di Cannes si aggiudica il Grand Prix Speciale della Giuria.
Insomma, sembra proprio che già “ai tempi” pubblico coreano e critica, anche europea, si fossero accorti della potenza del secondo film che compone la Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook.

Come è possibile allora che, almeno in Italia, fino a oggi Old Boy sia rimasto a esclusivo appannaggio di una cerchia più o meno ristretta di cinefili e che gran parte dei suoi potenziali spettatori l’abbiano ignorato?

Le sue trame oscure, una certa dose di violenza (mai eccessivamente grafica ed esplicita) e una narrazione poco lineare non possono essere una scusante, perché abbiamo visto che il grande pubblico al cinema in patria c’è andato, eccome.

Semplicemente il pubblico italiano (e in maniera minore quello europeo) nel 2003 non era ancora pronto, non tanto al tipo di film quanto ad abbracciare la Corea del Sud come un paese da cui potevano arrivare grandissimi registi.

Per tanti, tantissimi italiani, il Paese era ancora solamente quello che aveva ospitato le Olimpiadi nel 1988, che era stato teatro di una Guerra tra il 1950 e il 1953 e che era stato diviso tra un nord poverissimo e un sud che invece abbracciava l’occidentalizzazione.
Provate a fare mente locale e fate una lista di quante altre cose conoscevate vent’anni fa della Corea del Sud.
Probabilmente la risposta sarà: poche, pochissime.

Per questo il pubblico generalista aveva ancora un qualche tipo di alibi per essersi fatto sfuggire l’occasione di vedere su grande schermo un’opera del genere.

Ma oggi? Oggi che Old Boy torna in sala in una versione restaurata e in 4K queste scusanti reggono ancora?

Questa volta sì che la domanda è retorica e la risposta è assolutamente no.

Perché se parliamo di cinema dopo il 2003, un altro regista coreano ha conquistato pubblico e critica occidentale: parliamo di Kim Ki-duk, che tra il 2004 e il 2012 ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino (La Samaritana), il Leone d’Argento a Venezia (Ferro 3 – La Casa Vuota), il premio Un Certain Regard a Cannes (Arirang) e il Leone d’Oro a Venezia (Pietà).

Lee Chang-dong nel 2010 ha vinto il Premio per la Miglior Sceneggiatura a Cannes con Poetry.

Hong Sang-soo a Cannes nel 2020 con The Woman Who Ran ha vinto la Miglior Regia.

E poi naturalmente c’è stato il caso di Bong Joon-ho che con Parasite ha vinto sia la Palma d’Oro a Cannes che l’Oscar come Miglior Film Straniero (e altre tre statuette).

Insomma, anche il meno cinefilo tra di voi nell’ultima decade non può aver ignorato il posto che il cinema coreano occupa nel mondo.

Ma anche se così non fosse, la Corea del Sud è salita alla ribalta internazionale per un’infinità di altri motivi.

Il cibo: gran parte della città italiane ormai sono punteggiate di ristoranti coreani in cui si fa strada una cucina poco abbordabile per il palato occidentale ma davvero complessa per sapori e consistenze.

La k-beauty: oggi i principali prodotti di bellezza vengono dalla Corea del Sud. Aprite Instagram e ne avrete la prova.

Il k-pop: un tempo relegato alla sola Corea, poi allargatosi a macchia d’olio a tutta l’Asia, oggi il pop coreano miete successi in tutto il mondo, facendo registrare numeri impressionanti anche in Italia. Visto che le cifre non mentono mai, i BTS, oggi band di punta di tutto il k-pop, contano oltre 17 miliardi di ascolti su Spotify.

17.
Miliardi.

Il k-drama: le serie tv coreane grazie a Netflix e a Prime Video sono ormai entrate nelle case di tutto il mondo e molto spesso hanno più appassionati di quelle americane.

E poi c’è lui, Kim Jong-un, ovvero il Leader Supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea, ovvero il dittatore della Corea del Nord, diventato celebre su giornali e telegiornali di mezzo mondo per le sue “malefatte” e per minacciare un giorno sì e l’altro anche di lanciare un ordigno nucleare.

A stringere accordi con Kim Jong-un gli Stati Uniti hanno mandato uno dei giocatori di basket NBA più pazzi di tutti i tempi (Dennis Rodman) e l’Italia il politico più ridicolizzato che la storia ricordi (Antonio Razzi).

Nel 2003 non aver avuto la curiosità di andare a vedere al cinema Old Boy era un peccato veniale.

Oggi, nel 2021, è un peccato mortale.

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