House of Gucci
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 2
Fotografia 3
Cast 4
Colonna sonora 3

Il falso d’autore di Ridley Scott “Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”. Sigillata in questo segno della croce blasfemo risiede la quintessenza della tendenza estetica di House of Gucci, l’attesissimo film di Ridley Scott sull’omicidio di Maurizio Gucci. Una sorta di cattivo gusto persuasivo, suadente, ammiccante. La pellicola, che ha già ..

Summary 3.0 bello

House of Gucci

Il falso d’autore di Ridley Scott

“Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”. Sigillata in questo segno della croce blasfemo risiede la quintessenza della tendenza estetica di House of Gucci, l’attesissimo film di Ridley Scott sull’omicidio di Maurizio Gucci. Una sorta di cattivo gusto persuasivo, suadente, ammiccante.

La pellicola, che ha già fatto schizzare convulsamente le vendite della Maison, scatenando la ricerca di pezzi Gucci nei circuiti del vintage, è un grandioso capolavoro del grottesco. Una divinizzazione del kitsch. Il trionfo di quel trash che sa essere goduriosamente sublime.

Ridley Scott non si accolla la rappresentazione di una tragedia familiare, né si attiene con pedissequa attenzione al susseguirsi dei fatti di cronaca, preferendo ricorrere alla forzatura scenica ogni volta che ne intravede l’occasione. Così villa Necchi Campiglio diviene la residenza della famiglia Gucci e Maurizio Gucci, ucciso con tre colpi di pistola sul portone di casa in via Palestro, il 27 marzo del 1995 da Benedetto Ceraulo, viene qui freddato a Roma. Quel giorno a Milano era prevista pioggia e Scott non voleva incorrere in complicazioni metereologiche durante le riprese.

House of Gucci è finzione, imbroglio, contraffazione. Persino Aldo Gucci (Al Pacino) difende le copie tarocche degli accessori griffati che invadono i marciapiedi. È lo stesso brand a lasciare che la falsificazione si diffonda. “Non sono copie, sono repliche”. Non è un falso, è l’incontenibile desiderio di imitare ciò che non si è destinati a possedere.

E da Blade Runner a Tutti i soldi del mondo è esattamente questa la tensione che scorre sotto traccia nelle opere di Scott, l’eccitazione di chi si muove costantemente tra l’originale e il simulato. Come Baby can I hold you di Tracy Chapman che chiude il film, ma nella versione di Pavarotti & Friends, esplicitando definitivamente l’operazione effettuata da House of Gucci.

Rodolfo Gucci si consuma in una villa attraversata solo dalla luce proveniente dalle finestre. Circondato da metri di pellicola, sepolto dai ricordi, esemplare dimenticato dalla mediocrità del mondo intero. E attorno ci sono solo impostori. E questo Scott lo mette in chiaro sin da subito. Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci si conoscono ad una festa in maschera, lei apostrofata come Elizabeth Taylor, lui scambiato per il barman del party. Sono contraffatte le identità, manipolate le intenzioni, imitate le firme, falsificati i bilanci.

Nemmeno i malocchi della cartomante Pina Auriemma funzionano per davvero, alla fine bisogna ricorrere a veri killer. E la decisione non può che essere presa in un meeting “clandestino” in cui Reggiani e la maga vestono i panni di feroci Thelma & Louise, concedendosi fanghi e riposo in una spa di lusso.

Al centro di ogni scena, femme fatale dalle energie propulsive, c’è lei, Lady Gaga-Gucci. La sua fusione con Patrizia Reggiani è assoluta: Scott le ha cucito addosso il vistoso abito di questo film, e il lavoro cine-sartoriale è riuscito alla perfezione. Il suo personaggio finisce sorprendentemente per somigliare a un’eroina della tragedia classica, che impazzisce per amore e resta schiacciata da un brutale risentimento. Quasi si prova compassione per questa Patrizia Reggiani, abbandonata, quasi per capriccio, da un uomo che prima le consegna le chiave del nobile castello per poi respingerla sull’uscio non appena si accorge di poter ambire a donne di altro rango. Non ci saremmo mai aspettati di provare qualcosa che potesse assomigliare alla commiserazione per quella stessa Patrizia condannata a 26 anni di cui 17 trascorsi in carcere come mandante dell’omicidio del marito.

Ma questo è solo uno degli elementi grottescamente stonati. C’è un magniloquente Aldo Gucci /Al Pacino, ritratto come un italoamericano stereotipato, tronfio, tutto oro, famiglia e imbrogli. E c’è Paolo Gucci/Jered Leto (irriconoscibile), il genio incompreso e incomprensibile, dannatamente sopra alle righe, l’assurdo artista la cui follia sembra essere superata solo dalla stupidità.

Non sorprende affatto che la famiglia Gucci abbia subito preso le distanze dal film di Scott, dicendosi pronta a procedere per vie legali.

Ma House of Gucci è tutto un rincorrersi di esagerazioni, a partire dal linguaggio cinematografico sfrontato, dai costumi meravigliosamente vistosi, alla recitazione artificiale. L’epopea della famiglia Gucci è solamente il pretesto per riflettere sulle immagini, sulla loro costruzione e sulla loro contraffazione. Da una parte la realtà, o quella che da sempre riteniamo tale, e dall’altra la farsa, il recitato, il grottesco. E il personaggio di Jered Leto è la perfetta sintesi della rappresentazione che da verosimile diviene caricaturale e posticcia. La sua aspirazione, così come l’immagine dell’intera famiglia Gucci, si sgretola; e nulla ha più valore, nulla può più essere vero.

Ridley Scott gioca moltissimo su questa intuizione, immergendo i suoi personaggi in altre rappresentazioni cinematografiche altamente riconoscibili. Sfrutta il richiamo ad una scena de Il Padrino, spingendo Al Pacino a replicare un abbraccio addolorato al fratello/ qui figlio traditore. Una citazione che si aggiunge al richiamo a Jackie Brown di Tarantino con la scena che vede Aldo e Paolo Gucci alla ricerca dell’auto nel parcheggio del penitenziario. Il mondo di House of Gucci è una realtà – simulata – dove le immagini stesse non hanno più valore. Un mondo in cui l’abile falsario può annientare l’originale, e il bravo attore rivestire la cronaca di una nuova grottesca veste. Così come Patrizia Reggiani (già nella prima scena impegnata nella contraffazione della firma del padre) riesce a corrodere una presunta incrollabile nobiltà.

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