Siccità

Siccità

“Vivevamo in una città in cui reagire alle tragedie a colpi d’astio era un sistema per non soccombere.
Ci gonfiavamo di cinismo per sopravvivere al cinismo che a Roma era la prima lezione di vita” 
Nicola Lagioia- La città dei vivi, p. 144.

Tragedie, emergenze, crisi: esiste una formula universale per reagire e sopravvivere?
La letteratura e la realtà ci insegnano che al banco di prova dell’umanità, spesso cinismo e rabbia vincono. Allora, come tenere in piedi una società dove il concetto di “emergenza” è al centro delle nostre vite e ne definisce i linguaggi, lascia la sua impronta sulla nostra forma mentis stimolando nuovi modi d’agire, di occupare lo spazio e di stare nelle relazioni?

Assistiamo al continuo passaggio di testimone tra una crisi e l’altra, lo stato emergenziale si appresta a diventare condizione permanente e il cinema l’ha capito bene, specie quello che dialoga con la realtà. Paolo Virzì, con l’aiuto di Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo, porta in sala una quotidianità che ci è estremamente familiare.

Siccità è il ritratto esasperato di una società sull’orlo d’una crisi di nervi, provata da circostanze estreme ed emergenziali. Mette a nudo difficoltà e debolezze che, con noncurante trasversalità, attraversa tutte le classi sociali, mettendoli a tu per tu con i propri fantasmi che non sono altro che i nostri di fantasmi. 

Siamo nella Città Eterna calata in uno scenario apocalittico: a Roma (e solo lì) non piove da mesi, del Tevere resta solo un solco di terra brullo coperto da un cimitero di detriti secolari e i suoi cittadini devono fare i conti con il razionamento idrico, con i divieti e limitazioni alla libertà personale. L’acqua c’è solo per bere, cucinare e lavarsi con moderazione perché i pomelli dei rubinetti girano a vuoto per la maggior parte della giornata e al supermercato è consentito acquistare una sola cassa d’acqua a famiglia. Cosa succede a una società assetata quando le si dice di non bere? Inizia a incrinarsi, ad appassire.

Ogni giorno che passa, la sete esaspera gli animi e la ricerca del capro espiatorio diventa routine quotidiana. Ci sono i privilegi dei ricchi da combattere, le dietrologie da smascherare, gli esperti a cui dare la parola in salotti TV affollati, e poi gli eroi di turno da applaudire mentre il narcisismo di alcuni esplode con prepotenza. Attraversando case borghesi piene di libri, si passa per i balconi colmi di piante raggrinzite, fino ad arrivare nelle prigioni affollate e per le strade infuocate dalla rabbia dei manifestanti. Virzì ci porta nelle vite apparentemente distanti, ma profondamente legate, dei personaggi del film. Vite che, inaridite della siccità, stanno gradualmente scivolando nel baratro, senza però privarsi di sprazzi di tenerezza e umanità. Ed è proprio nella convivenza tra umano e brutale, tra menzogne e verità, tra comico e drammatico che si realizza Siccità

Nel film, Roma è la sineddoche della società contemporanea e i suoi cittadini – incarnando perfettamente stereotipi, archetipi e drammi – sono il nostro riflesso. Quello che vediamo sul grande schermo lo abbiamo vissuto e lo stiamo ancora vivendo, perché il regista è partito dal nostro presente per raccontare – quasi con fare profetico – un possibile pezzo di futuro. Con una narrazione non banale, ha condensato i temi caldi che attanagliano il mondo fuori dal grande schermo: la precarietà della salute mentale di ognunə di noi in una società dove le generazioni si scontrano sulle responsabilità rispetto a un mondo decadente, la gogna mediatica e il difficile equilibrio di una vita onlife, il rapporto genitori-figli e la redenzione. Siccità è una storia corale – ma anche intima in modo viscerale – dove la fantascienza si impregna di un graffiante realismo che fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’aridità della città, degli animi, del senso di collettività causata dalla sete d’acqua, di stabilità ed equilibrio, di affetto. Dietro quella risata amara che il film riesce a strappare si cela la percezione di una fragilità condivisa, minimo comune denominatore ed eredità di una società in e della crisi. Gli scarafaggi che invadono la città del film si muovono sulla sinfonia di un’orchestra barocca che dà ritmo all’intera tragedia, ambientale e umana, dei protagonisti. La decadenza composta di realtà scomposta e provata che conserva un barlume di ottimismo e ritrova vitalità sotto la prima pioggia battente dopo anni di siccità. 

É questo uno dei grandi meriti del film che, con un cast perfettamente costruito, ha la capacità di far convivere amarezza e tenerezza, rompendo le fila del cinismo con l’umanità dei suoi protagonisti, diversi ma profondamente simili tra loro.

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