La caduta (?) dei giganti – Succession e Silvio Berlusconi
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 4
Fotografia 3
Cast 4
Colonna sonora 4

Dopo Ted Lasso e La fantastica signora Maisel anche un’altra serie che ci ha accompagnato in questi ultimi anni è giunta alla conclusione con la sua ultima stagione, stiamo parlando di Succession (ideata da HBO), che vede protagonista il magnate Logan Roy (Brian Cox) e i suoi tre figli Ken (Jeremy Strong), Roman (Kieran Culkin) ..

Summary 3.8 bello

La caduta (?) dei giganti – Succession e Silvio Berlusconi

Dopo Ted Lasso e La fantastica signora Maisel anche un’altra serie che ci ha accompagnato in questi ultimi anni è giunta alla conclusione con la sua ultima stagione, stiamo parlando di Succession (ideata da HBO), che vede protagonista il magnate Logan Roy (Brian Cox) e i suoi tre figli Ken (Jeremy Strong), Roman (Kieran Culkin) e Shiv (Sarah Snook) impegnati nella lotta per la successione a gestire l’impero economico del padre anziano e di salute cagionevole.

In questa ultima stagione si arriva alla resa dei conti, Logan Roy è deciso a vendere l’azienda Waystar al gruppo svedese Gojo tagliando fuori i figli, ma la sua improvvisa morte rimette tutto in gioco con Ken e Roman pronti a far saltare la trattativa per gestire loro il tutto, mentre Shiv punta all’accordo con Gojo per diventare lei il nuovo CEO dell’azienda.

Come si può immaginare, perché ormai con tre stagioni alle spalle abbiamo imparato bene a conoscere i fratelli Roy, nessuno dei tre arriverà all’obiettivo desiderato, in quanto inadeguati per via dei propri limiti che non riescono a dichiarare (e questo la serie lo mette in chiaro fin dall’inizio): nessuno di loro ha la crudeltà, il senso degli affari, la determinazione, la faccia tosta di quel padre/padrone di cui hanno sempre cercato di avere l’affetto e l’approvazione delle loro azioni, quel padre verso cui nutrono un rapporto di amore e odio e che nel bene e nel male è sempre stato il loro punto di riferimento. Così alla fine ritroviamo i fratelli esattamente al punto di partenza in cui li avevamo conosciuti alla prima stagione, la loro è una formazione mancata, a loro è riservata la stessa fine di Frederic Moreau, protagonista dell’Educazione sentimentale di Flaubert (non a caso creatore del personaggio dell’“inetto” con buona pace di Svevo).

Si chiude dunque una serie che ha ritratto in maniera grottesca, mischiando dramma e black humor, quel famoso 1% della popolazione che ha in mano mezza ricchezza globale, un mondo avido, capriccioso, che “acquista e/o getta al vento” persone in base alla propria convenienza (fabbricando anche la vittoria di un presidente statunitense repubblicano con simpatie naziste), un mondo dove, per citare Gordon Gekko (Michael Douglas) in Wall Street (Oliver Stone, 1987) «il denaro non dorme mai», e in nome del quale tutto è lecito, compreso sacrificare rapporti umani e familiari (per questo i tre fratelli non sono in grado di andare avanti insieme, la loro, salvo piccoli momenti di tregua, è una rivalità continua, una volontà di emergere sugli altri e di essere il preferito di papà), un mondo che agisce per tutelare i propri interessi e che pensa solo a se stesso e la cui icona è rappresentata in Logan Roy.

Per uno scherzo del destino, pochi giorni dopo la fine di Succession l’Italia ha perso il suo di magnati nonché assoluto protagonista della scena politica degli ultimi 30 anni: Silvio Berlusconi.

Una notizia che certamente ha e ha avuto una sua rilevanza per chi come il sottoscritto (classe 1990) fa parte di una generazione in cui Berlusconi è sempre stato presente, che teneva per lui o contro di lui, e che non ha vissuto gli anni della cosiddetta Prima Repubblica.

Come Logan Roy anche Berlusconi lascia un impero finanziario, ma la sua spartizione dovrebbe essere meno traumatica di quello della famiglia Roy, discorso diverso invece sul piano politico dove il suo erede non è mai stato trovato (chiedere ad Angelino Alfano), ma quello che accumuna davvero entrambi è di essere icone di un modello di fare impresa capitalista che viene esportato in ambiti comunicativi, politici, televisivi, sportivi e quel modello anche in assenza dei suoi fautori resta impresso.

Il manager di Gojo acquista Waystar con l’intenzione di renderla più moderna, ma non propone un modello di business alternativo, i politici “cresciuti” con Berlusconi, che siano della stessa corrente politica o di quella opposta, sembrano non riuscire a smarcarsi dal suo modello comunicativo, così se anche le icone vengono meno fisicamente, il loro “insegnamento” resta. Un insegnamento nel nome dello slogan di Margaret Thatcher per cui «There is no alternative» al capitalismo e per cui il tutto alla fine, come dice il capitano Beckett (Tom Hollander) in Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo (Gore Verbinski, 2007) mentre la sua nave sta affondando distrutta dalle cannonate, «è solo una questione di affari.»

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