Storia d’Italia in 17 Indagini

Storia d’Italia in 17 Indagini

Secondo la classificazione di C.S. Peirce, in estrema sintesi, i segni, rispetto alla relazione che intrattengono con la realtà esteriore, si suddividono in icone, simboli e indici.

Un simbolo è un segno che non ha rapporto con il concetto rappresentato, ma vi si lega in termini convenzionali (il segno linguistico, ad esempio, o la raffigurazione dell’aureola nei ritratti dei santi). L’indice invece riferisce di un oggetto nei termini di una connessione fisica, di concreta vicinanza con esso (il fumo come segno del fuoco). L’icona infine è un segno che assomiglia al concetto stesso e di esso condivide almeno una qualità (banalmente: una fotografia, ma anche un’onomatopea). Il segno, per Peirce, è una mediazione: deve illuminare l’oggetto, coglierne delle qualità, costituirne un’idea fondamentale.

Che viaggio e che segni ci propone, allora, Indagini, il podcast «scritto e raccontato» da Stefano Nazzi e prodotto da Il Post, che ogni mese ci avvince con i casi di cronaca nera, più o meno noti, che hanno segnato l’Italia repubblicana? Forse una risposta è già nella presentazione — sempre la stessa, quella che skipperemmo se fosse la sigla di una serie e che invece ora sappiamo a memoria — che lo stesso Nazzi ci propone: raccontare storie criminali «tentando di mostrare non tanto il fatto di cronaca in sé, il delitto in sé, bensì tutto quello che è successo dopo: il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità, le indagini giudiziarie e i processi con le loro iniziative, le loro intuizioni e i loro errori; il modo in cui le indagini hanno influenzato la reazione dei media e della società, e il modo in cui i media e la società hanno influenzato le indagini».

Simboli, indici e icone, quindi, in un processo di progressiva astrazione. Ciò di cui parla Indagini, attraverso il particolare, è infatti una serie di universali, propriamente detti o solo ambigui: il sistema giudiziario, i meccanismi d’indagine, la figura del cattivo (di nuovo il carnefice al centro della nostro sguardo come necessità — più ancora che come possibilità — di lettura dell’esistente?), e ancora la fallibilità e la precarietà del sistema, la sostanziale e fortunata approssimazione con cui spesso si giunge a identificare un colpevole (o un innocente) e la diretta distanza tra legge e giustizia, quindi tra verità giudiziaria e realtà fattuale, con tanto di alzata di spalle finale se le cose non combaciano — ché oramai è tardi e bisogna andare avanti.

Emblemi, quindi, verrebbe da dire, di un intero paese, di una determinata umanità, di un male banale e inaspettatamente assoluto, nella sua quotidianità.

Indagini è infatti zeppo di dubbi su colpevoli e innocenti, è pieno di racconti che si strutturano attraverso errori e approssimazioni, è impregnato di una maledetta (s)fortuna che spesso ti fa sperare di non incappare per caso in una situazione criminosa, mentre al suo interno ballano, si agitano e svaniscono i fantasmi di un’Italia disfatta, sgualcita, mediocre e non solo violenta di una violenza, nella maggior parte dei casi, scontata e dozzinale — per quanto non per questo meno feroce, sordida e ripugnante — ma anche meschina di una meschinità interessata e polverosa che crea dubbi e diffidenza e paura anche nei confronti dei buoni e della loro frequente assenza di qualità, icone terrificanti — tanto quanto i cattivi — di una danza macabra che non risparmia nessuno.

E se i buoni per antonomasia, quando si parla di delitti, sono giudici e commissari, qui, parlando di buoni, non ci vogliamo riferire solo a loro, ma anche a quel carnaio immondo che — da sempre, nonostante le qualità dei singoli individui — sono i mezzi di comunicazione (o socializzazione) di massa, e al loro sbavante e necrofilo desiderio di immondizia e di patiboli, che trova per altro una partecipazione entusiasta, frenetica e vacua da parte del «popolo più analfabeta» e della «borghesia più ignorante d’Europa», per dirla con Pasolini.

Mi resta allora la sensazione che l’Italia e la sua agonia si capiscano meglio guardando lo sfacelo umano ed esistenziale di Uomini e Donne e ascoltando i delitti, risolti e irrisolti, di Indagini, i cui protagonisti mediatici e sociali, attivi e passivi, sono le stesse Gorgoni del programma di Maria De Filippi.

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