Anatomia di una caduta: il film Palma d’oro di Justine Triet
Regia 5
Soggetto e sceneggiatura 5
Fotografia 3
Cast 5
Colonna sonora 3

Una pallina da tennis scivola giù dalle scale, rimbalza su ogni gradino, acquista velocità, inesorabile precipita verso il basso. Non è chiaro quale forza l’abbia sospinta, chi l’abbia nervosamente urtata. Ma una volta incoraggiata verso la caduta si arresterà solo arrivata a terra. Potrebbe essere raccolta da qualcuno che la costringerà a cadere ancora e ..

Summary 4.2 favoloso

Anatomia di una caduta: il film Palma d’oro di Justine Triet

Una pallina da tennis scivola giù dalle scale, rimbalza su ogni gradino, acquista velocità, inesorabile precipita verso il basso. Non è chiaro quale forza l’abbia sospinta, chi l’abbia nervosamente urtata. Ma una volta incoraggiata verso la caduta si arresterà solo arrivata a terra.

Potrebbe essere raccolta da qualcuno che la costringerà a cadere ancora e ancora, o trovare ristoro sotto una vecchia credenza di legno dove nessuno la disturberà più. Nell’ultimo film di Justine Triet è un border collie dallo sguardo liquido e celeste a raccoglierla. Per torturarla ancora un po’ tra i denti, prima di abbandonarla sul fondo del suo destino.

Ogni caduta prevede un impulso originario, una brutale accelerazione e uno schianto finale, irreparabile e definitivo.

Ogni caduta è presagio di uno stallo, ogni spinta annuncia una rovina. E poiché ad ogni peccato corrisponde un colpevole è necessario tenere gli occhi puntati verso il basso, laddove il crollo ha impresso le sue tracce, per riaversi, e fingere di aver compreso cosa possa essere accaduto in alto, là quando il piano della verità non aveva ancora iniziato pericolosamente a inclinarsi.  

Anatomia di una caduta è un film in cui il reale resta in soffitta, imprigionato nel fuori campo: dall’alto proviene una musica che impedisce alle parole di essere udite, dall’alto una pallina precipita giù dalle scale preannunciando altre cadute, altre frane, altri fragorosi peccati che ci costringeranno a fissare lo sguardo su ciò che di poco resta, sui frammenti di un storia, sul border collie che raccoglie il corpo senza vita di una verità destinata ad essere ricostruita con l’immaginazione.

La regista francese Justine Triet decide di sbarazzarsi del dramma sentimental-borghese a lei familiare per approdare a stili narrativi che le permettono di liberare tutta la sua intelligenza cinematografica. Interessata fin dal suo esordio (La Bataille de Solférino-2013) a protagoniste forti e auto-determinate, Triet pone al centro del suo ultimo film (Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes e campione d’incassi in patria) il volto, le mani e i lividi, visibili e non, di una donna (Sandra Huller) il cui talento di immaginare, raccontare e scrivere potrebbe renderla plausibilmente capace di uccidere. A precipitare dal tetto di uno chalet di montagna è il marito Samuel (Samuel Theis). Una caduta che lo lascia senza vita, sulla neve caduta copiosamente vicino a Grenoble.

Sandra è l’unica che avrebbe potuto udire, ma non l’ha fatto. È l’unica a trovarsi a pochi metri dall’accaduto, ma non ha visto nulla. È l’unica capace di depredare il reale per farne plausibile finzione all’interno dei suoi romanzi di successo, ma giura di non aver provocato la caduta. Non ha spinto lei quell’uomo la cui disattenzione ha reso il figlio (Milo Machado-Graner ) ipovedente, che le invidiava il talento, che le scagliava addosso la propria insoddisfazione.

Ma se i tradimenti vengono a galla e la tensione tra le pieghe di un matrimonio al collasso è palpabile, se la furiosa lite avvenuta il giorno prima è stata persino registrata, non è forse prudente soppesare tutte le ragionevoli possibili verità? Ciò che è improbabile resta comunque possibile, così come ciò che è attendibile non corrisponde automaticamente alla verità. Non si ha forse il dannato bisogno di credere che la propria narrazione del vero sia l’unica finzione plausibile molto più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere?

Anatomia di una caduta abbraccia i toni impervi del thriller giudiziario senza mai abbandonarcisi pienamente: Triet mantiene il controllo con una regia elegante e sapientemente ambigua, in cui il dinamismo del giallo processuale è volutamente ostacolato da tutto ciò che non ci sarà mai dato di vedere.

Il film si nutre delle dinamiche d’indagine, poliziesca e psicologica, per ingannare lo sguardo più che per rintracciare il vero. Si dispiega restando sospeso, confondendo i significati, negati, e i significanti che vi si sostituiscono. In Anatomia di una caduta vi è sempre qualcosa di inacessibile: non si sente, la musica sovrasta le parole che restano tra i denti, e non si vede, il figlio della coppia, unico testimone oculare della capitolazione del matrimonio, è ipovedente e solo il cane guida può indicargli la strada sicura da percorrere.

La relatività del reale è la vera protagonista di un’anatomia che richiama già nel titolo qualcosa di altro: Anatomia di un omicidio di Otto Preminger (1959). Perché una storia è solo come la si racconta, con il suo riecheggiare tra i ricordi che subiscono continui contraccolpi, con il suo riscriversi man mano che le parole dei narratori si sovrappongono.

Nessun investigatore, nessuna arma del delitto, nessuna concreta prova rivela un’epifanica verità.

Così come un integratore di bromelina può rivelarsi utile contro l’infiammazione, allo stesso modo la cinepresa per Triet si rivela un rimedio naturale perfetto per difendere la finzione dallo stato d’accusa in cui verte la riscrittura del reale: ogni verità è già stata riscritta, ogni reale è già stato confuso dal contagio del ricordo. 

La dissezione del matrimonio di Sandra e Samuel mette in luce tutta l’ambiguità delle relazioni contemporanee corrotte da un linguaggio precario, improprio, infedele, irriconoscente. Tutta la storia si articola su una continua rielaborazione dei codici comunicativi dove il linguaggio stesso, verbale e visivo, diviene alter ego posticcio della verità.

Sandra non sa raccontare la sua versione dei fatti in lingua francese, eppure le viene insistentemente richiesto di astenersi dall’uso di altre lingue. Le parole di finzione dei suoi romanzi, estrapolate dal contesto narrativo, consolidano l’ipotesi accusatoria sostituendosi alle testimonianze. L’impossibilità di vedere del figlio Daniel si inserisce nella storia come un ulteriore possibile camuffamento del vero, quando si suggerisce che il ragazzo possa avvalersene per mentire ai magistrati. Le voci, le urla e i colpi rimpiazzano ciò che non abbiamo potuto vedere.

Anatomia di una caduta è soprattutto un superbo gioco di equivocità della colpa: Sandra è donna fiera, che non si adagia nel dolore né si sgretola dinnanzi alla paura della condanna. È vittima di un patriarcato imperante che la vuole colpevole della castrazione artistica del marito o il mostro calcolatore che ha voluto egoisticamente liberarsi del peso che l’ancorava agli abissi della sue responsabilità?

Anatomia di una caduta è una celebrazione della natura multiforme del vero, una demolizione sistemica dell’oggettività che mette in luce la cecità della nostra percezione delle cose. Il colpo che ha provocato la caduta è già stato occultato dalla narrazione di chi ci ha preceduto. Il reale è solo il nostro reale. La finzione è già la verità di qualcun altro.

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