The Dreamers – I sognatori di Bernardo Bertolucci

The Dreamers – I sognatori di Bernardo Bertolucci

Bernardo Bertolucci irrompe di nuovo tra i nostri sogni e ci (ri)trova prigionieri di desideri a cui non abbiamo ancora saputo dare un nome. The Dreamers torna in sala dopo vent’anni, eppure i sognatori sono ancora tutti lì, vinti dai riflessi di una rivoluzione che abbiamo agognato ma che non abbiamo potuto vincere. E questo film, come già era accaduto, torna a scuoterci, mentre avevamo già aperto il gas dentro casa, come una pietra che infrange i vetri della nostra finestra sul mondo. I sognatori devono scendere in strada, eppur non è chiaro se debbano svegliarsi.

Bertolucci, a trent’anni di distanza dallo scandalo di Ultimo Tango a Parigi, regala al Cinema un nuovo film maledetto attraversato da corpi, citazioni e specchi che hanno fatto dei suoi sognatori l’essenza stessa del desiderio. Un incanto perverso in cui la verginità ambisce alla violenza, la bellezza si fa perfetta quando resta senza braccia e in cui le prove d’amore hanno il sapore dell’umiliazione.

The Dreamers è stato definito come il resoconto del ’68 attraverso la personale raffinata intensità del suo autore. Ma forse questo è tutto ciò che The Dreamers non è mai stato.

Il film di Bertolucci non è la narrazione di una massa che mostra il pugno per cambiare il mondo, non è la cronaca da una barricata, né il resoconto di una protesta civile. Mentre gli studenti sono in strada a brandire slogan e i poliziotti dietro gli scudi bastonano le loro idee, una bande à part composta da tre ragazzi sfila correndo tra i corridoi d’arte più famosi del mondo, in un affrettato corteo privato che si fa manifesto dell’inebriante senso di liberazione che si annida nella disobbedienza.

Matthew, Isabelle e Theo sono sognatori che si precipitano nelle increspature della vita inseguendo la luce che si accende sulla tela del grande schermo. Perduti tra le mura di un borghese appartamento parigino, riproducono il cinema come fosse vita, come fosse un rito, consacrato a una fede di cui si sentono i soli degni partigiani. La loro trasfigurazione nell’arte è ciò che li rende puri, intimi, indissolubilmente uniti in un’illusoria promessa d’amore eterno. I tre, narcisisticamente eccitati dal sogno in cui hanno trovato rifugio, si allontanano dalle violente proteste che vanno in scena nella realtà, in stanze sature di specchi che indagano e deformano il loro desiderio di far crollare ogni imposizione morale, deflagrando ogni regola imposta.

Io ero uno degli insaziabili. Uno di quelli che si siedono vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicini? Forse era perché volevamo ricevere le immagini per primi, quando erano ancora nuove, ancora fresche, prima che sfuggissero verso il fondo…

È così che i sognatori di Bertolucci vivono il cinema. Con vorace, ingordo, avido bisogno di ingurgitare tutto. Ogni frammento, ogni volto, ogni storia di cui l’immaginazione filmica si concreta. Un amore passionale e morboso con cui travolgono l’arte, ma soprattutto con cui aggrediscono la vita tutta, in una cinica scommessa tra amore e violenza.

Gli allora semisconosciuti Louis Garrel, lo statunitense Michael Pitt, che ottenne la parte dopo i rifiuti di Jake Gyllenhaal e Leonardo DiCaprio, e la splendida e fatale Eva Green, che con questa pellicola fece il suo debutto cinematografico (vincendo le titubanze della famiglia che temeva per lei la stessa parabola di Maria Schneider dopo Ultimo Tango a Parigi – 1972), sono diventati i corpi del controverso e decadente menage a trois più noto del cinema degli ultimi vent’anni

Proprio il cinema permette all’americano Matthew (Pitt), di conoscere i gemelli Isabelle (Green) e Theo (Garrel). Durante la protesta contro la rimozione dalla Cinémathèque française di Henri Langlois, il suo fondatore, ordinata dall’allora ministro della cultura francese André Malraux, i tre si scontrano quasi per caso. I loro sguardi si sono già incrociati in quei giorni concitati, e ora sono decisi a restare incollati gli uni sugli altri. Fra loro nasce una connessione fisica, un’attrazione culturale, una curiosità che accresce, citazione dopo citazione, fino a diventare insaziabile desiderio di vita e trasgressione.

I tre, asserragliati in un appartamento da cui hanno espulso adulti, responsabilità e pressioni sociali, esplorano senza inibizioni le emozioni, l’erotismo, l’amore e il sesso, mentre sulle strade della capitale francese si avventa la rivoluzione giovanile. C’è una magica relazione tra ciò che accade a Matthew, Théo e Isabelle e quello che accade fuori, in quel mondo in cui i tre fingono di guardare: alla primavera di una rivoluzione sociale si sovrappone l’alba di un’iniziazione personale, entrambe cariche di prevaricazione, speranza e ribellione.

Bertolucci con elegantissimi movimenti di macchina indagatori intesse un racconto sospeso nel tempo in cui cinema, musica, sesso e citazioni si riconcorrono: se Mao Tse-tung è per Theo un grande regista, per Matthew Dio è senza dubbio nero e mancino come Jimi Hendrix.

The Dreamers trabocca di riferimenti cinefili. I titoli menzionati si rivelano tramite le immagini che si sostituiscono alle gesta, o ai dialoghi, che i protagonisti volutamente rievocano. Da Bande à part a Freaks, da Cappello a cilindro a Venere bionda, la settima arte si eleva a educazione sentimentale perfetta per la famelica brama di esplorazione dei tre giovani sognatori.

Dal desiderio erotico al desiderio di rivoluzione il passo è breve sembra suggerire Bertolucci, che, intenzionato ad opporsi al tentativo revisionista di screditare il Sessantotto e la forza propulsiva delle idee di rivolta, realizza un film che vive di pulsione visionaria scegliendo di alimentarsi di vita e cinema, un film dove il sogno rimane intatto proprio perché le rivolte riscrivono il proprio tempo.

Bertolucci, sin dall’inizio, mentre accompagniamo Matthew verso la Cinémathèque, mette in chiaro che siamo, e saremo, davanti a uno schermo, e che a un certo punto, la Realtà romperà la tela e invaderà il nostro sogno costringendoci a spalancare gli occhi.

Il Sessantotto è un momento di rottura, quasi il romanzo di formazione di una generazione. Per questo il gioco-cinema continuo, seducente e invasivo di The Dreamers è l’esemplare trasposizione privata della distruzione/ricostruzione delle realtà, il suo passaggio nel sogno. Politiche sono le immagini, non la storia che esse raccontano.

The Dreamers vive nel Sessantotto ma non è un film sul Sessantotto. E in questo si concretizza tutta la sua forza politica.

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