Identità&Comunità. Il cinema come altro

La Treccani definisce la comunità come una «collettività all’interno della quale i membri condividono la maggior parte o la totalità delle proprie attività, sviluppando intense relazioni interpersonali», specificando poi come, secondo un’analisi recente, ciò che la distinguerebbe dalla società sarebbe il fatto di essere «fondata sul sentimento di appartenenza e su una fusione delle volontà individuali derivante dalla percezione di similarità di ciascun individuo rispetto agli altri», ossia una sorta di scelta, da parte dei membri, di farne parte, alludendo quindi a un processo fortemente identitario. Il cinema, che contribuisce alla creazione di un immaginario collettivo, ha – da sempre – attraversato infinite comunità e tipologie sociali differenti, in maniera mimetica o eccentrica, rappresentando il reale o ipotizzandone l’identità in forme diverse; allo stesso modo ne ha spesso raccontato le fragilità e le contraddizioni, agendo sul micro o alludendo al macro.

Perché due film, tra i più interessanti di quelli in uscita dicembre e che abbiamo scelto come pre/testo per questo numero di BILLY, raccolgono l’identità e quindi la comunità al proprio interno? Perché, in un momento come quello attuale in cui la necessità di trovare forme identitarie e comunitarie spinge la società a parcellizzare la propria organizzazione, esprimendo fenomeni aggregativi in senso esclusivo rispetto al resto, il cinema – che è veicolo principe della capacità di immaginare altro – riesce a provocare la morte (per quanto in maniera indiretta) di un ambasciatore, generando un corto circuito in cui il rapporto con l’immagine si esprime in una mancanza di sintesi tra iconografia e iconoclastia?

Ecco ciò che ci interessa: l’identità in rapporto alla comunità, l’identità che si oggettiva nella comunità e quindi il rovesciamento del pregiudizio comunitario, lo scandalo della sottrazione alla somiglianza e all’identificazione, in cui la scelta diventa diniego e quindi esempio della possibilità di esistere al di fuori della comunità, proponendo l’eccentricità rispetto all’identità, eccentricità non accettabile neppure come un’anomalia nel caso del film Anderson (Moonrise Kingdom); e al contrario la collusione rispetto all’idem sentire comunitario, la reazione (questa volta) pregiudiziale che si struttura in uno stigma escludente in cui la comunità segna confini che servono più a tenere dentro che a lasciare fuori, attraverso un sentimento d’odio reazionario che produce identità e organizza i rapporti interni, parlando, invece, de Il sospetto (in originale Jagten, ossia la caccia) di Vinterberg.

Due elementi contigui e intrecciati, con le loro declinazioni possibili, sono al centro di questo nuovo numero di BILLY, definitivamente e orgogliosamente on line.

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