Accattone e Mamma Roma, la rappresentazione di Poveri cristi

Accattone e Mamma Roma, la rappresentazione di Poveri cristi

È nel 1961 che Pier Paolo Pasolini esordisce alla regia con Accattone, il primo film da lui diretto.
Un’opera che mostra uno stile registico nuovo e, forse inizialmente, incompreso anche dagli altri Maestri, come Federico Fellini che decide di non promuoverlo.
Al di là delle difficoltà iniziali, Accattone è finalmente prodotto da Alfredo Bini, che peraltro produrrà anche Mamma Roma l’anno seguente. Sono due film che in comune hanno tanto e Billy, in occasione dell’anno pasoliniano, ha deciso di parlarne.

Questi due film raccontano con grande sensibilità la miseria e con non poca criticità chi, quella miseria, la rende possibile. In primo piano c’è la periferia romana, mentre sullo sfondo l’ossimorico Cupolone di Roma, la capitale del trono di Pietro piena di ricchezza che lascia ai margini la gente di borgata.
Tra quella gente vi sono, da un lato, Vittorio Cataldi detto Accattone (Franco Citti) e, dall’altro, Mamma Roma col figlio Ettore (Anna Magnani ed Ettore Garofolo). Sono tutti personaggi che vivono alla giornata, e non in maniera molto dissimile: il primo fa prostituire giovani donne, la seconda si prostituisce a sua volta, anche se tenterà di abbandonare, purtroppo invano, quel mestiere. Invano perché, come mostra Pasolini, da quella condizione di miseria non si può evolvere, anzi sembra che si possa solo peggiorare. Ettore non regge il peso di sapere quello che sua madre fa per vivere e come un Cristo in croce muore.

Il filo rosso che lega queste vicende, che in comune hanno la Roma di periferia e i suoi abitanti, è la morte come possibilità di sopravvivenza alla tragedia quotidiana: si combatte la miseria con la violenza. In questo trovo la critica più potente alla società neocapitalistica di quegli anni.
Perché pensate quanto deve essere tragica la consapevolezza del fatto che per trovare la pace in vita si debba ricercare quella eterna. Non ci sono vie di fuga se non la morte. Pasolini lo mostra perfettamente come nella vita di borgata, già misera di per sé, non c’è nessuno spiraglio di luce, ma anzi per riuscire a salvarsi bisogna proprio spegnere ogni spia luminosa.

In entrambi i film Pasolini utilizza svariati registri, dal più sacro al più profano (ammesso che sacro e profano esistano davvero). Nella stessa pellicola si può parlare di religione, Chiesa, arte e morte con disinvoltura come se tutto fosse legato. Tutti temi, peraltro, che costituiscono il pensiero pasoliniano, ricorrenti già nelle opere precedenti ad Accattone e Mamma Roma, e in quelle che seguiranno.

La ricca Roma che si intravede dimentica i suoi cittadini che Pasolini mai guarda con giudizio, anzi ciò che più critica è la sacralità di quella Chiesa inerme, mentre la povertà d’animo di quella povera gente è più preziosa di ogni oro del Papa. Sono persone che suscitano empatia, anche se conducono uno stile di vita non irreprensibile e, a volte, al limite della criminalità. Però non si può non essere accanto ad Accattone quando, in mezzo alla strada e tra la folla, si appresta a morire dicendo «Ah, mò sto bene!».

È possibile pensare che nell’Italia del boom economico si possa essere felici di morire? Sì, è possibile perché il consumismo produce questo: disuguaglianza, e chi ne è vittima, come Accattone o Mamma Roma, non potrà mai aspirare a una reale ricchezza. La soluzione al consumismo è la morte, a meno che non si sia già ricchi, e allora sì che si può sperare di esserlo sempre di più. Con Anna Magnani questo è evidente: Mamma Roma tenta un’ascesa sociale cambiando lavoro, ma presto tornerà a lavorare in strada. Lo abbiamo raccontato nello scorso articolo su Pasolini: quel boom economico non è egualitario, non rappresenta la rinascita per tutti, ma solo per la classe borghese che minaccia il sottoproletariato urbano, e Mamma Roma ha provato a fare il salto di qualità verso la classe borghese, ma è stata respinta.
Accattone e Mamma Roma sono l’esemplificazione perfetta di quell’idea. Il cinema di Pasolini d’altronde è la messa in scena del suo pensiero e dei suoi piaceri verso una classe, e dei suoi giudizi e del suo disprezzo verso un’altra.

Pasolini però non è tutto dramma e tragedia. Il suo stile irriverente e l’uso del romanesco di borgata danno uno spirito quasi vivace alla drammaticità che rappresenta, chiaramente una vivacità da considerare con cautela visto che si parla in entrambe le opere di morte e povertà.
In particolar modo in Accattone, dove il neorealismo è portato all’esasperazione, anche grazie a  Franco Citti che, anche se non è un attore di professione, si rivela una grande scoperta per il cinema pasoliniano.

Lo stile registico di Pasolini è differente da altri perché vi è la marcata volontà di farsi sentire, in quanto regista, anche stando dietro la camera. Sono il suo stile e il montaggio che parlano, a volte anche più dei contenuti e, se si presta attenzione, infatti, si percepisce uno stile tormentato: sono molte le inquadrature fisse su volti stanchi e muti (come Mamma Roma quando scopre che il figlio Ettore è morto), gli stacchi bruschi sono evidenti così come è evidente la mancanza di quinte e di una profondità di scena, un po’ come, da lui stesso affermato, nell’arte rinascimentale.
Pasolini lo ha detto a più riprese in varie interviste: se guardiamo i suoi film è come se osservassimo un dipinto, e così la macchina da presa accompagna lo sguardo dello spettatore con lunghi piani sequenza proprio come l’occhio umano si muove davanti a un’opera d’arte.

Di fatto Pasolini guarda all’arte rinascimentale, così in Mamma Roma c’è Masaccio, anche se molti pensano a Mantegna, ma anche Leonardo, e, successivamente nell’opera La Ricotta, vi è Rosso Fiorentino nella scena della deposizione dalla croce. Quello a cui si assiste nelle opere pasoliniane è un uso profano dell’arte sacra perché ciò che si rappresenta sono dei poveri cristi, non nel senso cristiano del figlio di Dio, ma persone comuni che muoiono per la povertà. Ed è questo che il consumismo ha portato: la discrepanza tra la volontà di salire nella scala sociale e l’impossibilità di ascendere. Pasolini fa del sacro una rappresentazione parodica, unendo il fascino dell’arte e la genuinità della gente di borgata che meglio di chiunque altro può rappresentare le vittime di quel sistema.

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