Ariaferma – dall’altra parte delle sbarre
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 4
Fotografia 5
Cast 4
Colonna sonora 5

Arriva la volante e si scende dall’auto ancora ammanettati. Poi via le manette, si entra, si viene perquisiti: soldi, oggetti personali, resta tutto lì, ben prima della cella. Lì si entra solo con lo stretto necessario, qualche vestito, delle coperte, un rotolo di carta igienica. Le porte si aprono e si chiudono, sbattono, le chiavi ..

Summary 4.4 favoloso

Ariaferma – dall’altra parte delle sbarre

Arriva la volante e si scende dall’auto ancora ammanettati. Poi via le manette, si entra, si viene perquisiti: soldi, oggetti personali, resta tutto lì, ben prima della cella. Lì si entra solo con lo stretto necessario, qualche vestito, delle coperte, un rotolo di carta igienica. Le porte si aprono e si chiudono, sbattono, le chiavi girano continuamente nelle toppe e i rumori di ferraglia sono assordanti. Siamo dentro. Fuori il mondo continua a muoversi ma dentro è tutto fermo: lo spazio, il tempo, anche l’aria.

Una volta lì, tutto è scandito, preciso, definito. Soprattutto i ruoli: ci sono le guardie, i buoni, e ci sono i criminali, i colpevoli, i cattivi. Convivono, ognuno dal proprio lato delle sbarre, tutti consapevoli delle differenze che intercorrono tra gli uni e gli altri. Ma cosa succede se le barriere che li separano cominciano a crollare? È ciò che prova a descrivere Leonardo Di Costanzo nel suo Ariaferma, undici candidature ai David di Donatello 2022 con due vittorie portate a casa – come migliore sceneggiatura originale e come miglior attore protagonista a Silvio Orlando. In centodiciotto minuti, Di Costanzo porta gli spettatori dentro un carcere in dismissione tra detenuti e controllori, guardie e ladri. Un carcere in cui i dodici prigionieri rimasti vivono in condizioni estreme: nessuna attività, nessuna visita, cibo immangiabile. Una situazione eternamente temporanea che potrebbe portare ovunque in ogni momento. E invece porta a un confronto di inaspettata umanità.

Quando le cose in carcere cominciano a mettersi male e la rivolta sembra essere dietro l’angolo, il fatto di avere il monopolio della violenza legittima dalla propria rende la prevaricazione la soluzione più scontata. La scelta dell’ispettore Gargiulo di permettere ai detenuti di usare la cucina per mettere fine allo sciopero della fame invece di reprimerlo in modo ben più violento, apre però un piccolo varco tra guardie e detenuti. Un varco temuto anche dallo stesso Gargiulo – un quanto mai serio Toni Servillo – che lotta con se stesso tra la compassione e la necessità di mantenere le distanze. Sta a lui capire come affrontare la situazione e come porsi nei confronti di chi è dall’altra parte delle sbarre, in particolare di Carmine Lagioia, così lontano da lui ma allo stesso tempo così vicino.

Ciò che separa Gargiulo e Lagioia, più di ogni muro in cemento armato o porta blindata, sono le scelte. Il primo ha scelto di essere dalla parte della giustizia sistemica, il secondo da quella della malavita. Ciò li ha uniti nello stesso posto in due posizioni contrapposte, uno controllore e l’altro prigioniero. Ma quelle stesse scelte, e le colpe che ne derivano, non li rendono diversi nell’essenza. Sono due persone con il loro portato di errori, di sentimenti, di umanità. Un’umanità che si può esprimere tendendo una mano, ma anche un tozzo di pane inzuppato nel sugo. E che non viene cancellata dagli sbagli che caratterizzano le vite di tutti, ma può risentire dell’arroganza e della superiorità.

È necessario che sia buio pesto per riuscire a cancellare per un attimo i rapporti di potere e sedersi tutti a tavola da pari. Ma quando si accende la luce tutto torna normale, e la porta che si era aperta tra Noi e Loro torna a essere un piccolo varco dal quale passa solo poca luce. Ma quanto è importante che continui a passare. Perché se è vero che gli sbagli non sono tutti uguali, è altrettanto vero che nessuno di noi è esente da colpe. E questo dobbiamo riuscire a vederlo sempre.

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