Dead Reckoning Parte 1: Mission Impossible
Regia 2
Soggetto e sceneggiatura 2
Fotografia 3
Cast 3
Colonna sonora 3

A cinque anni da Fallout, Tom Cruise torna a prendere le redini della sua longeva e leviatanica creatura nata nel 1996 con il prototipo diretto da De Palma, di cui Dead Reckoning Parte 1 è insieme settimo capitolo e prima parte di un dittico conclusivo che chiuderà nel 2024 l’Odissea di Ethan Hunt, il carismatico ..

Summary 2.6 normale

Dead Reckoning Parte 1: Mission Impossible

A cinque anni da Fallout, Tom Cruise torna a prendere le redini della sua longeva e leviatanica creatura nata nel 1996 con il prototipo diretto da De Palma, di cui Dead Reckoning Parte 1 è insieme settimo capitolo e prima parte di un dittico conclusivo che chiuderà nel 2024 l’Odissea di Ethan Hunt, il carismatico agente segreto attraverso il quale l’eterno ribelle Cruise ha oltrepassato molteplici scenari del cinema d’intrattenimento degli ultimi trent’anni. Da sempre fedele alla sua essenza spettacolare, la saga di Cruise/Hunt ha saputo ricombinare la sua immutabile e ciclica natura di spy-movie, con i suoi feticci spettacolari, iconografici e narrativi volti a forgiare l’humus cinematografico di un franchise abile e consapevole della sua popolarità, “fedele alla linea” di un cinema d’azione in cui la centralità performativa del suo divo (senza dimenticare l’importanza sempre più crescente dei comprimari) ambisce a sfidare le formule stringenti dell’industria dei blockbuster odierni, a partire dall’egemonia supereroistica che, a seguire la conclusione di Endgame nel 2019, sembra ormai aver poco da dire.

Dead Reckoning prosegue questo percorso dopo una lunga e travagliata gestazione produttiva, se ricordiamo lo stallo delle riprese sulle location italiane allo scoppio della pandemia da COVID-19, nell’ormai “lontano” 2020, mentre sui social si poteva già presagire il congelamento dell’inaspettato Top Gun: Maverick, uscito solo l’anno scorso e campione d’incassi dopo un prolungato periodo di secca per i cinema italiani e non solo. Ed è proprio con l’unico sequel del film di culto di Tony Scott del 1986 che l’ultima creatura di Cruise (firmata dal sodale Christopher McQuarrie, già regista e sceneggiatore dei due capitoli precedenti) sembra voler dialogare e ragionare sull’estetica (e l’anima) del blockbuster oggi. Laddove scorre un carsico romanticismo nella duplice maschera di eroe degli anni Ottanta, con Maverick, e poi del decennio successivo, con Ethan Hunt, il cuore iconografico di questi due film palpita di una nostalgia ribelle e aperta a una sfida continua e testarda contro la minaccia di un futuro cinematografico sempre più immateriale. Inquietudini un po’ più aliene ma pur tuttavia pertinenti con quell’altro richiamo a icone più anziane come Harrison Ford, di nuovo nei panni di Indiana Jones al box office due settimane prima dell’uscita di Dead Reckoning. Tuttavia, il puntuale e costante protagonismo di Tom Cruise con gli ultimi capitoli in sala, ribadisce che il tempo (e la vecchiaia, superati i sessanta) per la star hollywoodiana sono solo forse un optional, come già dieci anni fa quando il suo stunt a quasi cinquant’anni per Protocollo Fantasma era la news e insieme la vincente formula promozionale di ogni successivo spettacolo del corpo-Cruise, di cui è nota la perseveranza a congegnare scene madre in cui è lui, l’attore e produttore, lui e soltanto, a essere il vettore (herzoghiano) di una spettacolarità in cui il primato spetta a lui, non a controfigure, non a fittizi green-screen, ma alla sua personale ed estatica acrobazia tangibile, gravitazionale, rigorosamente analogica. 

Proprio a partire dal concetto di analogico che Dead Reckoning Parte 1 ragiona la narrazione e la spettacolarità delle sue scene d’azione, ma sarebbe da ciechi non ricordare come già nel precedente Fallout, dietro a una vecchia copertina dell’Odissea di Omero, si disvelava già l’ossessivo bisogno di risalire all’intima e antica essenza degli oggetti, delle azioni, dei gesti, del collasso scenico e scenografico di uno spettacolo minacciato dall’inafferrabile panorama delle nuove tecnologie virtuali. 

Concettualmente questo settimo capitolo spinge il cuore teorico fino al parossismo, non mancando di volerlo tradurre in puro gusto cinematografico. Il pericolo è “incarnato” dallo sviluppo di una intelligenza artificiale che potrebbe minare la sicurezza globale. Hunt, dal canto suo, può affidarsi solo e unicamente ai suoi feticci, ai sentimenti di vecchia data con la sua squadra, alla sua indole da fuoriclasse che lo caratterizza da sempre, riassumibile nella infuocata battuta: «io non l’accetto». La non accettazione di un mondo ridotto a una sua mera riproduzione, a una simulacrale maschera di pericolosi algoritmi, secondo quel paradigma preconizzato dall’ansia tardocapilista di I tre giorni del Condor

Nella sua durata di quasi tre ore, Dead Reckoning espande la sua natura autoriflessiva a partire da un chiaro e divertito richiamo cinematografico col primo capitolo della saga, nell’ottica di un ritorno a casa alla forma primordiale del suo cinema. Se in Skyfall Craig e M salivano a bordo dell’Aston Martin nel confronto finale verso gli highlands scozzesi, Hunt chiude questo capitolo nell’esplosiva scena finale a bordo di un treno come nel primo film. La scena è una delle più incredibili di tutta la saga, punto d’incontro con Buster Keaton in Come vinsi la guerra, uno spettacolo al cardiopalma che casca addosso allo spettatore insieme all’incredibile lavoro di attrazioni e messa in scena nel rispetto del grande cinema slapstick degli albori. 

Tuttavia, a precedere questo finale, e un giustificato aggancio al secondo capitolo che non lasci il sapore di una mera puntata tronca, c’è una trama di spionaggio che perde lo smalto dei due capitoli precedenti. Il passaggio dalle varie location internazionali è spesso macchinoso, incardinato attorno a lunghe sequenze in cui i dialoghi danno corda a spiegazioni superflue e ridondanti, dove sicuramente il doppiaggio italiano non aiuta, appiattendo il godimento della narrazione. Non manca l’attenzione ai carismatici comprimari di Ethan Hunt, che almeno dal quarto capitolo hanno via via ottenuto uno spazio morale non indifferente, come non manca la voglia di affiancare al protagonista ancora una nuova leva nelle vesti della brava Hayley Atwell, efficace a sciogliere la presenza un po’ ingessata di Cruise; diversamente, il cattivo di turno risulta decisamente sotto tono rispetto allo sguardo magnetico che trasmetteva Sean Harris nei precedenti Rogue Nation e Fallout, anche se, nel suo anonimato, gioca a favore di un villain volutamente “assente”, impersonale, artificiale, come la finta rivelazione del sottomarino nel prologo dal sapore gustosamente vintage. In attesa del gran finale, Dead Reckoning Parte 1 convince a metà, pur ribadendo nei suoi difetti (probabilmente frutto di una travagliata produzione) il credo del suo creatore in uno spettacolo puro e vertiginoso, possibile sono in sala, perché fuori dal tempo.

logo

Related posts

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom, USA, 2012, Wes Anderson (R.), Wes Anderson e Roman Coppola (Sc.) Wes Anderson si può amare od odiare, ma una cosa certamente gli va riconosciuta: è dannatamente elegante. Nella costruzione del quadro, nei movimenti di macchina, nella fotografia, nella scelta delle location...

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

A spasso nel tempo. Better Call Saul si conclude dopo sette anni dalla sua prima messa in onda. Iniziò tutto con Uno, primo episodio scritto e diretto da una delle due menti che presiedono l’intera architettura narrativa dell’universo di Breaking Bad, nato con la prima stagione del 2008. Nome...

Django Unchained

Django Unchained

Django Unchained, USA, 2012, Quentin Tarantino (R. e Sc.) Ci risiamo, torna Tarantino con il suo stile scoppiettante e ammiccante. I fan gioiscono, e i meno fan apprezzano. Dopo le disamine della blaxploitation di Jackie Brown, del cinema orientale di Kill Bill...