Videodrome

Videodrome

o del futuro

L’orrore è il corpo, l’orrore è nella carne, l’orrore è nell’identità.

Identità, carne e corpo che sono destinate alla mutazione, in un’allegoria antropologica sulla violenza che i mass media allora e, oggi, i social media sono in grado di esercitare sulla nostra esistenza, anzi sulla nostra eXistenZ.

Videodrome forse è coscienze manipolate, è esercizio del potere, Videodrome chiama Debord a rischiarare il fondo della società dentro una visione apocalittica e irreversibile, Videodrome è un «delirio catodico», per dirla con Gervasini, che diventa profezia. Videodrome è (stato) il mondo come ancora non era e come sarebbe diventato e ora non è più, ma contemporaneamente oggi riesce anche a essere il mondo come non è ancora e come presto ci potrebbe risultare, perché nonostante tutto è ancora ferocemente attuale, dopo quasi quarant’anni dalla sua realizzazione.

«Lo schermo televisivo, ormai, è l’unico vero occhio dell’uomo» dice il professor O’Blivion da uno schermo televisivo. La mia generazione è cresciuta all’ombra di un tubo catodico ed è stata riprogrammata da ciò a cui ha assistito, contagiandosi, dice Cronenberg, con l’inserimento di videocassette nello stomaco — vagina calda e accogliente — in una forma di contaminazione che è espressione di un tumore visivo. «Ne consegue che la televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione», dice sempre O’Blivion, mentre mio padre, di là in sala, dice che è una cosa è vera perché l’ha appena sentita in TV, ossia da quell’apparecchio davanti al quale strutturiamo le nostre relazioni. Trent’anni dopo è ancora così, e se non sono videocassette, quelle che (de)formano la nostra coscienza, sono iPad, iPhone e altri miracolosi device ed è, soprattutto, l’uso che l’istituzione ne fa, che il Potere ne fa, posto che sia una differenza reale.

Come dice Wolf Bukowski, rispetto alle chiusure dovute alla pandemia da Covid-19, parafrasando Gramsci: «Non è il lockdown che ha smaterializzato i rapporti umani, ma, viceversa, sono le preesistenti condizioni di smaterializzazione (dettate dalle esigenze ideologiche e di profitto) che hanno reso possibile il lockdown». E se anche non fosse smaterializzazione, quella che pratichiamo rispetto alla pulsione del vedere, allora sarebbe — ed è, dice sempre Cronenberg — un’estasi sudicia e materica, una fusione putrida di eros e thanatos, un desiderio di pornografia sordida rispetto all’alterità, come oggetto di un malessere dettato dal futuro.

In questo senso, la «nuova carne» è (ancora e sempre) qui, è presente quanto mai prima, ha solo proseguito la sua radicale mutazione, adattandosi al tempo e ai tempi, come fa il capitale, di cui è approdo necessario: la nuova carne siamo noi, assuefatti alla società dello spettacolo.

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