Magnolia

Magnolia

Questo mese, come preannuncia il nostro editoriale, BILLY si propone di indagare il festival di cinema più radicale e allergico ai compromessi che conosciamo: la Berlinale. L’unico modo per farlo è quello di ripensare ai film che l’hanno abitata e che hanno incrociato e raccontato la contemporaneità, realizzandosi, come una profezia

Non possiamo allora non pensare a Magnolia, film del 1999 del ventinovenne Paul Thomas Anderson (di cui abbiamo parlato qui), che vince l’Orso d’Oro a Berlino nel 2000. Gli anni di produzione e distribuzione del film non sono ovviamente casuali. Siamo all’inizio del decennio breve, che cambierà per sempre i paradigmi con cui leggiamo il mondo e tutti i film in uscita in quegli anni raccontano quella sensazione di trovarsi sull’orlo di un cambiamento ineluttabile (basti pensare, per citarne solo altri due, a Matrix o a Fight Club). Siamo negli anni in cui diventa spaventosamente evidente la simulazione teorizzata da Baudrillard:  «Viviamo in un mondo di simulazione, un mondo in cui la funzione più alta del segno è quella di far sparire la realtà e mascherare in pari tempo questa sparizione. L’arte non fa altro che questo. I media, oggi, non fanno altro che questo. Perciò vanno incontro allo stesso destino.» (Baudrillard J., Il complotto dell’arte, Sens & Tonka, 2005).

L’intero film, infatti, gioca sul rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione, impossibili da distinguere con chiarezza e perennemente intrecciate e sovrapposte. La finzione cinematografica è la vera protagonista di questa storia, scomparendo sapientemente e mostrandoci le infinite possibilità (di narrazione) della realtà, nel meraviglioso incipit, solo per poi tornare a rivelare violentemente la sua presenza ubiqua nella pioggia di rane finale, che travolge i personaggi come in un improbabile episodio biblico. Improbabile ma non impossibile, come tutto quello che spesso accade nella vita e che «sembra la scena di un film».

Magnolia preannuncia con estrema lucidità quel senso di smarrimento collettivo di fronte alla perdita di ogni chiave di lettura della realtà contemporanea e il conseguente tentativo di trovare riparo nell’individualismo, di spostare il focus su quel poco che ci illudiamo di poter controllare, non potendo fare i conti con il mondo che ci crolla sotto i piedi

Uno dei personaggi più famosi di Magnolia, Frank T. J. Mackey (Tom Cruise) è l’esemplificazione perfetta di questa illusione. Frank mi sembra l’esatta profezia della galassia di mental coach e guru della mindfulness che oggi affollano i social network e le librerie. Oltre a essere la personificazione del maschio alpha dominante, quello che lo rende un personaggio perfettamente attuale (forse più di quanto non lo fosse vent’anni fa) è quello che vende: l’illusione di poter essere sempre in pieno controllo della propria vita e di non farsi dominare dagli eventi, ma di dominarli

Il disvelamento di questa illusione, invece, diventa evidente, non solo nell’evolversi della storia di Frank e di tutti gli altri personaggi, ma anche soprattutto nella Storia principale, quella che ci traghetta dalla realtà alla finzione e viceversa. La Storia fatta di intrecci imprevedibili e di coincidenze assurde, che sono la vera anima di questo film e che il regista chiama “stranezze”, ma che non riduce mai al puro caso. Il tentativo di imbottire queste coincidenze di un significato è quanto di più vicino alla spiritualità ci sia oggi in una società che ha perso le sue divinità e risponde al bisogno ancestrale di interpretare l’universo e di ignorare la nostra condizione di animali impotenti.

Riguardare oggi Magnolia permette di trovare nuove chiavi di lettura del presente e di rivalutare personaggi, che forse ci eravamo dimenticati, ma che non sono affatto secondari, come Stanley, il bambino prodigio del quiz What do kids know?, che incarna perfettamente le giovani generazioni, che non vogliono più essere usate come marionette da esibire nel colorato circo capitalista, ma che vogliono essere davvero ascoltate e pretendono rispetto da adulti sordi alle loro istanze. La nostra unica possibilità di rivoluzione non risiede in un mental coach che fornisce tutte le risposte, ma in un bambino che si piscia addosso in diretta televisiva e si rifiuta di rispondere alle domande. Guardare oggi Magnolia non significa quindi solo guardarsi indietro e ricercare il momento in cui tutto è iniziato, ma anche leggere in maniera profonda il nostro presente perché, come recita il leitmotiv del film, «noi possiamo chiudere col passato ma il passato non chiude con noi».

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