Frammenti d’America: Last Stop Before Chocolate Mountain di Susanna Della Sala
Sulla riva del lago Salton sorge Bombay Beach, una piccola città della California. Si respira un’aria di libertà: gli abitanti sono pochi e liberi da istituzioni come polizia e tribunale, non ci sono molti negozi e tutti si conoscono lì da molti anni, tra chi ci arrivò quando ancora la città era una meta balneare di spicco, una vera e propria riviera nel cuore del deserto californiano, e chi ha deciso di andarsene per la crescente insostenibilità climatica che ha incorniciato il panorama con un’aura post-apocalittica. Nonostante la nomea di città fantasma, la popolazione di questo luogo disastrato non smette di coltivare i valori di uno slancio vitale che si produce in un’intensa attività artistica, tanto che il puro e artigianale atto creativo portato da giovani artisti ha fatto rinascere la città sotto una nuova luce.
La regista Susanna Della Sala ha trascorso nove mesi a Bombay Beach, documentando il mutamento della comunità con un ammirabile lavoro che si è sviluppato nell’arco di quattro anni, cogliendo il significativo momento in cui la comunità di artisti si è consolidata maggiormente fino ad istituire una vera e propria Biennale d’Arte. Last Stop Before Chocolate Moutain ci invita a soffermarci in questa wasteland incastonata tra l’aura residuale di un lago morto e le vette della catena montuosa cui si riferisce il titolo, dove alcuni pittoreschi personaggi, osservati dallo sguardo curioso e partecipe di Della Sala, orbitano in un paesaggio onirico sospeso tra rovina e rinascita. Tra i tanti ci sono in particolare Adam, un uomo di 57 anni, e Sonia, sua madre, che si stabilì a Bombay Beach con i figli negli anni Settanta per fuggire da un marito violento. Nel film li seguiamo separatamente perché non si parlano più da anni, motivo iniziale dell’irrequietezza che ci presenta un Adam libero di scatenarsi con la sua BMX, prolungando i giochi dell’infanzia dopo un burrascoso passato segnato da rapine in banca. E poi c’è Attaway, artista in fuga dalla città che trova a Bombay Beach una nuova oasi di ispirazione e dialogo con la gente del posto, tra cui un veterano del Vietnam vittima di PTSD, un principe italiano e un ventaglio di personalità che colora sempre di più l’intensa attività artistica.
Con un’abile padronanza linguistica del mezzo documentario, Susanna Della Sala disegna un appassionato e variopinto paesaggio umano, dove il buio di una lynchana strada perduta si illumina nella notte portandoci alle prime luci al neon della località. Da quel momento in poi lo sguardo si apre gradualmente, cogliendo le testimonianze di tutti gli esseri umani che vivono tra le catapecchie e i caravan di Bombay Beach, come se fosse una a-tipica comunitas uscita da un romanzo di Thomas Pynchon. La narrazione è attenta a far emergere il passato che collega ognuno di loro ad un’immagine geografica, tracciando i motivi culturali e ambientali di un paradiso perduto che (forse) non rivedremo mai più, se non tramite il gioco metalinguistico di un mascherino che inietta i filmati di repertorio (più o meno vecchi, più o meno veramente analogici) nel tessuto sociale che si registra davanti alla macchina da presa, dalle sessioni di poesia alle riunioni “di quartiere” dove si discute il nuovo corso della comunità, con le dovute problematiche che insorgono (e se tutta questa attrazione artistica portasse ad un innalzamento delle tasse o, peggio, ad una gentrificazione della località?).
Partendo dal cuore della notte il viaggio del film volge al termine sotto le luci perlacee di un crepuscolo e, come in un finale dal sapore felliniano, una sarabanda funebre riscatta una nuova vita tra quelle stesse acque salate delle origini, le stesse acque dove da una vecchia lenza pende ancora l’ultimo pesce pescato dal vuoto del disastro ecologico. In questi accostamenti tra natura e umano, tra vita e morte, si fondano le immagini ricercate da Susanna Della Sala nella sua opera, in cui passato e presente di Bombay Beach avvolgono l’ultima fermata prima di Chocolate Mountain con la fertilità innata del gesto creativo che può (e deve) segnare un nuovo inizio anche dove non sembra esserci più la traccia di un possibile futuro.
Il film verrà proiettato Lunedì 3 Marzo alle ore 21 alla Sala San Luigi di Forlì, all’interno della rassegna Frammenti d’America che comprende anche West of Babylonia di Emanuele Mengotti e Stonebreakers di Valerio Ciriaci.