E tu vedrai nell’aldilà: “The Shrouds” di David Cronenberg

E tu vedrai nell’aldilà: “The Shrouds” di David Cronenberg


Il titolo è già una dichiarazione di sguardo: il cinema come un sudario che, da quando ne scrisse Bazin in Ontologia dell’immagine cinematografica, mostra la morte al lavoro. In questo senso, The Shrouds – Segreti Sepolti, il nuovo film di David Cronenberg, presentato a Cannes nel 2024 e uscito in Italia solo all’inizio dello scorso aprile, a pochi anni di distanza dal precedente Crimes of the Future, mette in scena, pur in termini diversi, uno scenario in cui un potere di visione si afferma sullo statuto del corpo. Un nuovo crimine del futuro (che è già qui, nel presente): non più la malattia del corpo come matrice di spettacolo, semmai la morte stessa come visione prolungata nell’aldilà. E’ l’obiettivo imprenditoriale e spiritualmente ateo di Karsh (Vincent Cassel), direttore della Gravetech, un’azienda all’avanguardia che produce sofisticati impianti di registrazione video con cui poter continuare a contemplare il processo di decomposizione dei propri cari una volta sepolti.

Nel caso di Karsh, tutto nasce dal corpo della moglie Becca, interpretata da Diane Kruger, attrice che ritorna col volto della cognata Terry e con la voce Hunny, un’avatar modulata sulle sembianze di Becca. Come una moderna Ligeia, su Rebecca si apre la prima immagine del film: un prologo ineccepibile che ci proietta sul suo corpo sepolto, davanti al quale lo sguardo di Karsh non può trattenere un urlo di dolore, prima di riemergere tra i ferri di una visita odontoiatrica. E’ il dolore che gli sta rovinando i denti.


Cronenberg aveva inizialmente pensato a questo film nella forma episodica di due puntate da proporre a Netflix per sperimentare le possibilità del formato seriale. Dopo il rifiuto della piattaforma ha rielaborato per il grande schermo questa materia narrativa pregna di un dramma vissuto pochi anni prima, la morte di sua moglie dopo 43 anni di matrimonio. Un dato biografico ormai banale da ribadire quando si scrive di questo film, opera che tuttavia ci proietta ben oltre, registrando con la consueta curiosità del regista una meditazione profonda sul senso delle immagini che popolano l’attuale stato delle cose. Karsh, alterego del regista, come già fece Viggo Mortensen nel film precedente, ci invita a sprofondare con lui dentro un labirinto di intrighi dopo che un atto vandalico danneggia uno dei suoi cimiteri hi-tech. Con punture di soffusa comicità (e una irresistibile autorefenrenzialità, Karsh don’t crash!, come recita una battuta del film) che stemperano il dramma di fondo, Cronenberg costruisce una parabola di paranoie con cui decifrare un senso ultimo oltre al misfatto intimo e geopolitico. Oltre la dimensione ipotetica del film, c’è un labirinto di ipotesi che serve principalmente a dissimulare l’ombra lunga di un complotto dietro cui si potrebbe celare di tutto, o niente, o semplicemente un vizio di forma. Una narrazione che ci proietta tra le coordinate poetiche di Don DeLillo e Thomas Pynchon, dove l’estensione dei dialoghi, coerentemente assurdi e precipitosamente erotici, restituiscono un’indagine sulla decomposizione in immagini del mondo iper brandizzato (in questo senso il product placement di Apple e Tesla amplifica il paratesto filmico). Con un riflesso erotico, il corpo di Becca, “la prima moglie”, si fa carico di questa polivalenza di immagini paranoiche, diviene la donna che rivive non due, ma tre (e forse quattro) volte, in quello che forse è il più hitchcockiano dei film di Cronenberg. Ossessionato dal corpo ormai irraggiungibile di una relazione defunta, le scene più sconvolgenti e memorabili rompono con una verbosità digitale (ricorrenti sono le videochiamate tra i personaggi) per aprire il corpo filmico a squarci onirici e sessuali in cui Karsh, come in un sogno a occhi aperti, può (forse) ricongiungersi ancora con le diverse manifestazioni della donna perduta, prima con la cognata Terry, eccitata dalle possibilità di visione che il complotto può darle, poi insieme a Soon-Yi, donna ipovedente che, nel primo contatto tattile con Karsh, lo invita a chiudere per la prima volta gli occhi davanti al mondo bulimico di visioni che lui ha costruito per se stesso e gli altri, senza più sapere cosa gli aspetterà nel futuro verso cui prenderà l’ultimo volo che ricapitola, con una sfumatura crepuscolare, la filmografia di Cronenberg.

Con un’ammirabile asciuttezza formale, il regista firma un noir rigoroso e doloroso, con cui risponde per contrasto alla fiera delle mostruosità corporee di Crimes of the future, pur riproponendone con coerenza la visione di fondo a cui tiene fede per donarci il suo film più intimo e personale. Una riflessione ancora una volta densa e stratificata di letture che disvelano, tra le immancabili fluttuazioni melodiche di Howard Shore, il cuore melodrammatico che attraversa tutta la sua poetica, della morte e dell’amore, di “una carriera fatta di corpi”. 

logo

Related posts

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore

Moonrise Kingdom, USA, 2012, Wes Anderson (R.), Wes Anderson e Roman Coppola (Sc.) Wes Anderson si può amare od odiare, ma una cosa certamente gli va riconosciuta: è dannatamente elegante. Nella costruzione del quadro, nei movimenti di macchina, nella fotografia, nella scelta delle location...

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

Better Call Saul e la tragedia di un uomo ridicolo.

A spasso nel tempo. Better Call Saul si conclude dopo sette anni dalla sua prima messa in onda. Iniziò tutto con Uno, primo episodio scritto e diretto da una delle due menti che presiedono l’intera architettura narrativa dell’universo di Breaking Bad, nato con la prima stagione del 2008. Nome...

Django Unchained

Django Unchained

Django Unchained, USA, 2012, Quentin Tarantino (R. e Sc.) Ci risiamo, torna Tarantino con il suo stile scoppiettante e ammiccante. I fan gioiscono, e i meno fan apprezzano. Dopo le disamine della blaxploitation di Jackie Brown, del cinema orientale di Kill Bill...